Rapina al benzinaio, la pistola e altri misteri
L’arma risultata rubata quarant’anni fa in Sicilia. I due complici conosciuti in carcere. E chi era l'amico del fuggitivo che gli ha aperto le porte di casa a Venezia?

La pistola che ha sparato venerdì sera contro Marco Lepri, il benzinaio quarantenne di Busto Arsizio rapinato sotto casa è un “ferro vecchio” ma ancora ben funzionante, come purtroppo dimostrano i proiettili sparati addosso al povero esercente.
Si tratta di un revolver calibro 38, quindi un’arma a tamburo scelta di solito da professionisti che nonostante la capienza limitata del caricatore – di solito 5 colpi – presenta tre vantaggi: non lascia bossoli a terra e non si inceppa mai. Ed è molto potente, di un calibro che uccide con grande facilità.
Un’arma, assieme ad altri proiettili ritrovati in prossimità della casa canturina del primo degli arrestati, Maurizio Fattobene, lo sparatore, che è subito finita nelle mani della Polizia scientifica riuscita a risalire alla provenienza della pistola.
L’arma risulta essere stata rubata ad un privato, a Messina, nel 1978 (l’immagine è di repertorio ma l’arma è simile a quella usata, con tamburo a 5 colpi).
Si dovrà attendere forse il processo per scoprire i tanti misteri che si nascondono dietro a questo revolver: chi lo custodiva? E come ha fatto ad arrivare nelle mani di Fattobene?
Nell’attesa di conoscere gli attimi che hanno preceduto la rapina, che solo la vittima può in maniera precisa definire quando verrà sentita dal pubblico ministero Nadia Calcaterra, l’altro particolare di quel “concorso” contestato dagli investigatori ai due rapinatori risulta dai legami che Maurizio Fattobene e Antonio Vita avevano. Legami maturati in carcere e sui quali un pezzo di indagini verrà certamente a focalizzarsi: hanno compiuto altre rapine insieme? E se sì, quali?
Il difensore dell’interrogato due giorni fa a Como sostiene che il suo cliente non sia un violento, piuttosto un criminale comune, un rapinatore che però non ha mai sparato a nessuno.
Lo stesso vale anche per il complice? Antonio Vita non è neppure lui di primo pelo, ma sembra essere stato in passato in giri grossi legati alla droga.
Non è un caso che sia stato arrestato nel 2008 a Reggio Calabria e di essersi fatto tre anni di carcere condannato con rito abbreviato per pesanti violazioni del testo unico sugli stupefacenti, in particolare quell’articolo 74 che parla associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.
Restano poi anche altri aspetti legati a questa vicenda da chiarire, a partire dal ruolo giocato dall’amico di Vita che gli ha prestato l’appartamento nel Veneziano raggiunto dallo stesso fuggitivo che da solo, in auto, ha viaggiato tutta la notte tra sabato e domenica scorsi verso est.
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