La ‘ndrangheta “di periferia” e gli interessi su Gallarate

Per anni se n'è parlato come di un controllo mafioso pervasivo, ma limitato ai paesoni vicino a Malpensa. Dalle carte dell'inchiesta Krimisa emergono però figure e "manovre" anche sulla città

Gallarate vista dall'alto, dal campanile della Basilica (inserita in galleria)

Nelle intercettazioni dell’operazione Bad Boys – dieci anni fa – gli ‘ndranghetisti di Lonate e Legnano davano appuntamento all’uscita della superstrada di Gallarate-Samarate, ben riconoscibile grazie a una vicina insegna al neon. Poco distante, la Dda aveva sequestrato una villetta e un box nel quartiere Arnate, frutto degli investimenti della ‘ndrangheta.

A distanza di dieci anni episodi e nomi dell’inchiesta raccontano, però, un’avanzata del malaffare anche verso Gallarate. Non più dunque solo il controllo pervasivo, intimidatorio e talvolta apertamente violento di un paio di paesi di periferia (Lonate e Ferno), ma un interesse anche per la realtà cittadina. Che passa per il rapporto con la politica.

Uno dei casi che emergono dall’inchiesta è quello dell’assunzione all’Istituto Puccini di Patrizia De Novara, figlia di Franco De Novara, che era già stata assessore nella giunta lonatese guidata da Piergiulio Gelosa (nella successiva giunta Rivolta, poi caduta per l’arresto del sindaco, lascerà il posto a Francesca De Novara).
De Novara fu assunta prima nella locale società pubblica Sap, ma poi trovò posto a Gallarate. «Tramite Peppino Falvo, abbiamo agevolato anche la sua assunzione alla fondazione musicale Puccini di Gallarate» ha rivelato infatti agli inquirenti l’ex sindaco Danilo Rivolta, che – dopo il suo arresto e in cambio del patteggiamento – ha fornito importanti elementi agli inquirenti, confluiti sia nell’inchiesta Mensa dei poveri sulla politica che in quella Krimisa sulla ‘ndrangheta.

L’Istituto Puccini è l’istituto musicale cittadino, finanziato dal Comune e quindi esposto anche a una certa influenza della politica. E qui il ruolo trainante era quello di Forza Italia, a cui contribuiva appunto Peppino Falvo, commercialista di Lamezia Terme, uomo in grado di controllare pacchetti di voti con precisione estrema (si vide, ad esempio, al congresso di Forza Italia nel 2012).

Fin qui, va notato, si parla del livello politico che usufruiva dei “pacchetti” di voti. Ma non solo: tra gli arrestati c’è anche G.V., l’investigatore (e perito del tribunale di Busto), amico di Cataldo Casoppero, che a un certo punto pensava anche di candidare il figlio alla carica di sindaco di Lonate.

G.V. è anche “priore” dell’ “Ordo Bizantinus Sancti Sepulcri” di Malta. È in questa veste che è comparso in alcuni eventi con Exodus, la fondazione di don Mazzi (il sacerdote è stato ospite a Malta). Secondo le intercettazioni ambientali, G.V. e Casoppero contavano proprio anche su questa frequentazione utilitaristica per conquistare il voto cattolico a Lonate, complice anche l’avvicendamento di alcuni sacerdoti locali considerati sgraditi alla cosca.

Gli elementi contestati riguardano appunto il  suo rapporto con le figure del malaffare a Lonate, non la sua intensa attività come “priore”.
Al di fuori all’inchiesta, G.V. da imprenditore compare poi anche nella vicenda intricata del Summer Festival di Gallarate (in alcuni articoli di stampa viene citato anche come direttore artistico), la grande festa estiva annunciata in pompa magna nella stagione calda del 2017 e poi naufragata. Da imprenditore del settore, in quell’occasione trovò anche un posto di lavoro (nella gestione parcheggi) a una persona in difficoltà, impiegata nella vigilanza dei parcheggi esterni, affittati dal Comune.

L’esito del Summer Festival, comunque, non fu positivo: chiuse con un mese e più d’anticipo, tra concerti saltati e standisti infuriati. E con un mancato versamento di 100mila euro per le casse pubbliche del Comune. Teoricamente coperto da una fideiussione, che però – si è scoperto dopo – era emessa da una società bulgara già indicata come inaffidabile dalla autorità di vigilanza di Sofia e da quella italiana. Il Comune sta ancora cercando di recuperarla. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 09 Luglio 2019
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