“Noi artigiani, costretti a servire cibo scomodo”

Soffocati dalla burocrazia, gli artigiani devono seguire una serie di regole per non incappare in ulteriori: ecco i risultati di uno studio Cna

Generico 2018

E’ stata presentata a Varese l’analisi realizzata da CNA Agroalimentare e da CNA Turismo e commercio sulle imprese che producono e somministrano cibo: un settore che occupa in Italia circa 120mila imprese con circa 400mila addetti. Pizzerie, rosticcerie, friggitorie, birrerie sono oltre 71mila, 13mila le gelaterie e pasticcerie, più di 33mila i laboratori di prodotti da forno.

Anche se gli italiani sono da sempre legati al rito del pasto in casa, negli ultimi tempi si è registrata un’inversione di tendenza: pranzi e cene consumati fuori dalle mura domestiche sono in aumento, per una spesa complessiva di circa 85miliardi di euro, pari a 1520 euro pro-capite all’anno. Il cambiamento delle abitudini degli italiani ha avuto significative conseguenze per il mercato del lavoro: negli ultimi 5 anni, secondo la Camera di Commercio di Milano il comparto del food and drink ha generato infatti una nuova assunzione ogni cinque addetti. Mentre le imprese del settore hanno visto, negli ultimi 6 anni, una crescita del 6,9% per le imprese non artigiane e dell’1,6% per le imprese artigiane. Solo in provincia di Varese sono circa 1000 le aziende attive del settore.

Nonostante il settore sia in crescita nel suo complesso, le imprese artigiane che producono e vendono nel luogo di produzione sono calate dello 0,9%, hanno chiuso 700 laboratori, un dato in controtendenza rispetto all’andamento generale. Il fenomeno paradossale è determinato dai numerosi, troppi adempimenti che le imprese artigiane devono affrontare quando vogliono far consumare sul posto i loro prodotti.

Gli artigiani che hanno accettato la sfida dell’evoluzione dei consumi alimentari hanno però iniziato un’autentica via crucis, provocata da una mancanza di attenzione da parte del legislatore sia locale che nazionale, che ha creato numerosi, troppi, adempimenti per le imprese artigiane.

Per scongiurare l’accusa di abusivismo e consentire ai clienti di consumare sul posto, ad esempio, l’artigiano che sforna pizze in teglia è costretto in genere a ottenere il titolo commerciale di esercizio di vicinato: un titolo che consente di vendere altri generi alimentari (come bevande o altro) oltre a quelli prodotti direttamente, ma per il quale sono indispensabili fino a 20 adempimenti e 140 ore di corso.

Oltre a questo, c’è una giungla di divieti e prescrizioni incomprensibili, emanati a livello nazionale o locale, a cui gli artigiani sono sottoposti: in alcune regioni chi esercita attività esclusivamente artigiana non può mettere a disposizione della clientela sedie e tavoli, ma si deve ricorrere a panche, sgabelli, mensole e piani d’appoggio, così come deve fornire solo posate e bicchieri in plastica usa-e-getta. Chi riesce ad avviare oltre alla produzione artigiana anche l’attività di vendita per il consumo sul posto è sottoposto ad accertamenti e controlli da parte di 21 soggetti: dal medico veterinario fino alle guardie ecologiche e alle Capitanerie di porto.

«Con la presentazione di questo studio non ci limitiamo a far conoscere una realtà fortemente penalizzante per gli artigiani, ma proponiamo una serie di interventi per modernizzare il quadro normativo – Spiega Luca Mambretti, presidente di CNA Varese – Occorre infatti poter definire l’attività prevalente dell’impresa artigiana per non lasciare spazio ad interpretazioni arbitrarie e per non complicare inutilmente la vita a chi somministra cibo. Attualmente, all’impresa artigiana che opera nel settore alimentare è consentita la sola vendita dei beni propri: per poter vendere beni altrui e consentirne il consumo sul posto, è necessario ottenere anche il titolo commerciale di esercizio di vicinato. Il criterio di prevalenza dell’attività artigiana su quella commerciale, però, andrebbe strutturato sulla base di parametri temporali e quantitativi, come il maggior tempo impiegato nella produzione e preparazione degli alimenti rispetto alla fase della vendita o parametri oggettivi come i ricavi derivanti dalla vendita di prodotti propri rispetto alle vendita di beni accessori Aggiornare la legge quadro per l’artigianato, all’interno di un percorso comune con le Regioni è ormai una necessità fondamentale».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 05 Dicembre 2019
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