Dal suo piccolo Canada in Valcuvia Angelo Branduardi racconta Ildegarda, monaca, musicista e gastronoma

Alla vigilia dell'atteso concerto al Teatro di Varese - venerdì 4 febbraio alle 21 - Branduardi racconta a Varesenews com'è nato il disco sulla monaca Ildegarda ma anche come ha vissuto la pandemia e il rapporto con la sua provincia di adozione

angelo branduardi

Venerdì 4 febbraio Angelo Branduardi si esibirà al Teatro di Varese, con il concerto che porta il nome del suo ultimo lavoro, “Il cammino dell’anima”, un disco con musiche e testi tratti dall’opera di Ildegarda di Bingen, monaca tedesca vissuta quasi mille anni fa. Una figura poliedrica di intellettuale, donna di lettere e di scienze, ma anche filosofa, musicista e, pare, alchimista.

Il tour “Il cammino dell’anima“, interrotto nel 2020 a causa dell’emergenza sanitaria è ripartito in autunno e venerdì arriverà, molto atteso, anche a Varese.

Abbiamo intervistato Angelo Branduardi che, come noto, da parecchi anni ha preso casa nella nostra provincia e oggi abita a Bedero Valcuvia immerso nel verde di quello che chiama “il mio piccolo Canada”.

Si torna a teatro, si torna a suonare. Cos’è cambiato in questi due anni?

Sì si torna a suonare, finalmente. In questi mesi abbiamo fatto dei concerti che sono andati molto bene, però non è come prima. A Torino, ad esempio, il teatro era esaurito, ma qua e là si vedevano dei buchi a macchia di leopardo, il che significa che c’è della gente che ha rinunciato, perché ha paura, perché non ha il green pass, chi lo sa perché…

Non è come prima…

No, le vendite dei biglietti sono molto più lente, come diceva Repubblica qualche giorno fa è come se ci fosse meno frivolezza. Io vado bene, forse perché perché non sono frivolo. Sono ironico e arguto – dicono – anche durante i concerti ma non sono frivolo, faccio della musica triste e allegra, musica di di riflessione e musica sacra, passo da una cosa all’altra… anche il concerto di Varese sarà così.

Cos’è stato per lei questo periodo, un momento solo cupo o anche uno spazio creativo, un momento per ritrovare il proprio tempo?

No, uno spazio creativo proprio no. Anche se ho fatto due cose, due inediti che presenterò anche a Varese. No, in quel periodo non sono riuscito a suonare neanche una nota, e non sono riuscito ad ascoltare niente, né di Springsteen né di Bach né di Wagner. Niente. Non solo io ma so che tanti artisti hanno avuto questa reazione. Però la pausa mi è servita, perché era un periodo che giravo tantissimo; ho una certa età, e avevo bisogno di risolvere dei miei problemi interiori. Questo tempo non l’ho passato solo davanti alla televisione, ma l’ho passato a riflettere e a vivere in un altro modo, meno frenetico, più essere e meno avere. Che penso sono cose che resteranno anche dopo questa “peste nera”, ci sarà un ritorno alla qualità, a una vita diversa. Io la vedo in maniera positiva, un cambiamento irreversibile ci sarà e secondo me sarà in positivo. Crescerà anche la spiritualità nelle persone, non parlo di un punto di vista macro, politico o economico, ma di un punto di vista personale. Sono abbastanza convinto che ci sarà questa piccola catarsi. Non sono ottimista, cerco di essere realista e mi sembra che le cose stiano andando così, la gente viene a sentire Ildegarda, riempie i teatri. A Varese non so, si dice “nemo profeta in patria”. Però finora ho fatto tutti i teatri esauriti e la gente ascolta quello che il Tg 1, qualche giorno fa, ha definito in modo benevolo “un progetto folle”.

Dopo San Francesco la monaca Ildegarda…

E’ una figura popolarissima in Germania, soprattutto presso i protestanti. Quest’autunno sono stato invitato a suonare a Bingen, che è proprio la località dove lei aveva fondato il suo monastero, per una ricorrenza. In autunno nell’ambito della tournè europea passeremo anche di là, perché loro ci tengono in modo particolare, perché nessun altro ha mai fatto questo tipo di lavoro sull’opera di Ildegarda. Per questo è un progetto “folle”.

Cosa l’ha affascinata di questa figura?

In realtà non la conoscevo. Stavo cercando donne che scrivessero musica, nel passato ma anche nel presente, e sono capitato su Ildegarda che nell’anno mille era una donna straordinaria, che parlava alla pari con papi, imperatori e re. Era medico, erborista, e persino gastronoma. Ho ricevuto da una fan francese un grosso libro di sue ricette di cucina. Poi era filosofa, poetessa, alchimista, talmente tante cose; una sorta di Leonardo da Vinci 500 anni prima. Era anche proto femminista: Il Cammino dell’anima parla di donne, addirittura viene perdonata Eva. D’altronde se lo poteva permettere, perché oltre che molto colta era nobilissima e ricchissima. Nel suo monastero le monache avevano una semplice tunica bianca, non avevano copricapo, portavano i capelli sciolti, spesso intrecciati con fiori. Danzavano anche, ma questo succedeva sempre. E’ una cosa che pochissimi sanno, ma ad esempio nella chiesa di Sant’Ambrogio a Milano l’altare è collocato su lastre di marmo molto ampie, con gradini molto bassi, perché era uso che durante la cerimonia religiosa si ballasse. Musica e danza sono sempre state unite. Tutto finì credo con il Concilio di Trento, che proibì tante cose anche nel campo musicale.

Quanto è difficile riportare in vita in chiave moderna musica e parole che sono state scritte mille anni fa?

L’ho trovato facile, non so nemmeno come ho fatto. Spesso gli artisti non sanno quello che fanno, glielo dice poi il pubblico quello che hanno fatto. Ci siamo messi lì, abbiamo lavorato, abbiamo cercato di non stravolgere linee melodiche e parole che sono un adattamento molto fedele. Come fu con San Francesco, che è stato un successo planetario. Nella musica tutto è facile e tutto è difficile, la musica è bianco e nero, i musicisti sono metà lupi e metà agnelli perché in quello che fai c’è dentro tutto, l’ispirazione, la capacità tecnica, gli studi che hai fatto, una visione…

Sua moglie Luisa Zappa, che da anni scrive i suoi testi, ha faticato per tradurre questi testi un po’ in latino e un po’ in tedesco?

Io conosco il tedesco e le ho dato una mano ma non ho fatto studi umanistici come lei, quindi sulla parte di quel latino strano che si usava allora ha lavorato lei ed è riuscita a ricavare gli originali.

Secondo lei cosa risuona di questa musica nelle persone del mondo di oggi, così veloce, a volte così superficiale? 

Ennio Morricone, con cui ho avuto l’onore di lavorare per tanti anni, diceva che la musica è l’arte più astratta e quindi è quella più vicina all’assoluto; lui era credente e quindi l’assoluto per lui era Dio. Ma non c’è nessuna componente fideistica in quello che ho fatto, è una cosa filologica che risulta anche gradevole, a parte il fatto che magari è un po’ difficile, ma io di cose facili non ne ho mai fatte. Nemmeno “Alla fiera dell’est” è  facile, anche se la cantano i bambini. E’ una visione credo, è cogliere per un attimo cosa c’è al di là del muro, vedere cosa c’è dietro la porta chiusa. Ho fatto ben otto dischi di musica antica, che si chiamano tutti “Futuro antico”, e hanno avuto tutti un successo clamoroso. Li abbiamo portati in giro nei luoghi che erano legati a questa musica ed era sempre tutto esaurito, anche se durante quei concerti  non facevo nemmeno un pezzo mio, solo musica antica. Eppure venivano giù i teatri, quasi più che con il mio repertorio. Questo vuol dire qualcosa, c’è in questa musica una specie di tensione, il bisogno di cogliere un mistero.

Lei ha citato “La fiera dell’est”, disco del 1976 che le ha aperto le porte del successo internazionale. Dopo tanti anni e un percorso lunghissimo, articolato e molto raffinato quando dici Branduardi, però, salta sempre fuori “il topolino che al mercato mio padre comprò”. Questo le dispiace?

No, assolutamente. Le dirò che io credo di essermi ritagliato un pezzetto di immortalità con questa canzone. Quando prima dicevo dei bambini che cantano “Alla fiera dell’est” mica lo sanno chi è Branduardi, gliela fanno cantare alla scuola materna e la imparano. E’ una canzone che non mi appartiene più, è diventata patrimonio popolare, e questo mi dà un pizzico di immortalità. Perché, come succede, chi l’ha cantata da piccolo poi la canta ai suoi figli, che la cantano ai loro figli ecc.

Lei da tanti anni abita nel Varesotto. Una scelta, una casualità?

Abbiamo abitato in tanti posti, da Genova a Roma a Nizza. Siamo venuti qui semplicemente perché mia moglie ci teneva a venire vicino a Varese dove abitavano i suoi genitori anziani. Siamo stati prima a Cadrezzate, a due passi da dove abitavano i genitori di Luisa. Poi una sera siamo venuti a cena da amici qui a Bedero, il balcone della Valcuvia, e ci è piaciuto molto. Prima abbiamo costruito una casa molto particolare tutta di legno dove ci siamo trovati così bene che ne abbiamo costruita un’altra, dove ho il mio studio di registrazione. Oggi sono molto attaccato a questi luoghi. Le nostre figlie sono grandi e sono andate ad abitare lontano, siamo qui noi due ed è il mio piccolo Canada, come io lo definisco. Viviamo immersi nel verde, siamo protetti e c’è bella gente. Insomma, ci stiamo proprio bene.

angelo branduardi

Mariangela Gerletti
mariangela.gerletti@varesenews.it

Giorno dopo giorno con VareseNews ho il privilegio di raccontare insieme ai miei colleghi un territorio che offre bellezza, ingegno e umanità. Insieme a te lo faremo sempre meglio.

Pubblicato il 31 Gennaio 2022
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