Alla ricerca dell’infinito nel film documentario dedicato a Gabriele Basilico
In concorso a Glocal doc il lungometraggio di Stefano Santamato racconta l'uomo e l'artista protagonista della fotografia del Novecento
“L’arte di deve portare dove tu da solo non sai andare” afferma Oliviero Toscani commentando l’opera di Gabriele Basilico, che per tutta la sua vita ha preso per mano lo spettatore e lo ha guidato alla scoperta di molte città del mondo, di una umanità nascosta, di un silenzio ricco e potente.
A Glocal Doc alla presenza del regista è stato presentato il film in concorso “Basilico. L’infinito è là in fondo” realizzato da Stefano Santamato che ripercorre le tappe principali della carriera del grande fotografo, dai primi scatti giovanili fino agli ultimi lavori nelle metropoli negli anni 2000.
A raccontare l’uomo e l’artista la sua compagna di vita Giovanna Calvenzi oltre a Stefano Boeri, Gianni Berengo Gardin, Oliviero Toscani e Toni Thorimbert, la storica della fotografia Roberta Valtorta, il regista Amos Gitai.
Primo lungometraggio del regista prende a prestito il titolo da una frase scritta dallo stesso Basilico con un pennarello rosso sulla fotografia Merlimont Plage nel 1985 scattata durante la Mission Photographique de la D.A.T.A.R.
Un infinito che Basilico ha ricercato per tutta la vita e che lascia in eredità al futuro come racconta bene nel documentario il laboratorio con giovani fotografi realizzato insieme a Toni Thorimbert in occasione della grande mostra omaggio in Triennale.
Lo stesso fotografo affermava “Le città sono come un libro che bisogna leggere per intero, diversamente si rischia di non afferrarne il senso. La periferia, i margini e le zone di nuova espansione: nella mia vita sono andato a finire sempre un po’ più in là. In effetti, sono le zone che mi interessano di più. E se è vero, come ribadisco incessantemente, che la città è come un grande corpo dilatato, incommensurabile, per capirci qualcosa bisogna avere pazienza, tenere a bada quel sentimento di conquista, quella vertiginosa sensazione di possesso che un’immagine troppo rapida e furtiva può restituire.”
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