Piscine della Schiranna, chiesta a Varese l’assoluzione per tutti gli imputati, “è stata una macchinazione”
Le battute finali del processo “Aspem Reti” che riguarda i lavori alle strutture sportive. Contestato dai difensori l’impianto accusatorio, sullo sfondo ancora la politica

Una minuziosa difesa durata ore per entrar nel merito delle questioni che riguardano il processo “Aspem Reti“ e che vede i difensori compatti nel chiedere assoluzione con formula piena.
Episodi nei quali non sarebbe da identificarsi responsabilità penale poiché privi di elementi di prova su cui basare una condanna; e anche sul piano tecnico, reati che mutano degli elementi oggettivi, «diversa prospettazione giuridica dei reati, casi che in eventualità di condanna, dovrebbero segnare una certezza del cento per cento» sulla loro concreta composizione, ha spiegato il difensore di Ciro Calemme, avvocato Alberto Zanzi.
È difatti Calemme l’imputato più in vista del processo sulle “piscine della Schiranna” che vede anche altri due persone fra gli imputati: il responsabile tecnico dei lavori e il titolare della ditta che li esigui: opere di molti anni fa oramai, realizzate per migliorare l’immobile di proprietà comunale la cui gestione era affidata alla società pubblica. Contestazioni che riguardano qualità e quantità dei lavori, ma anche l’affidamento degli stessi su cui le indagini della Procura sono state attivate al termine del mandato da sindaco di Attilio Fontana dal nuovo amministratore di Aspem reti.
Un momento in cui grazie allo “spoil system”, anche la guida delle società pubbliche controllate dal Comune, variò: fu il nuovo amministratore unico, Alfonso Minonzio, ad accendere un faro sulla gestione di quei beni pubblici, stendendo una relazione a poca distanza dalla sua nomina.
Documenti che, sempre secondo il difensore di Calemme «erano stati messi insieme esclusivamente per colpire una parte politica precisa», cioè una delle componenti dell’amministrazione Fontana, retta sulle forze del centro destra che persero le elezioni e di cui Calemme era esponente di spicco (Forza Italia, e il suo “pensatoio” locale, Agorà), «documenti finiti in servizi televisivi che attaccarono violentemente l’operato di Calemme, senza peraltro chiedergli conto».
I difensori, oltre a Zanzi anche Andrea Toppi e Stefano Besani hanno chiesto nell’udienza di giovedì l’assoluzione per gli imputati. Dunque è stato analizzato – e dai difensori smontato – il reato di peculato e la conseguente qualifica di pubblico ufficiale dell’amministratore, la distrazione dei beni pubblici. Un contraltare a cui corrispondono le richieste di pena pronunciate nella scorsa udienza dall’accusa (mentre il Comune e Aspem sono in giudizio come parti civili patrocinate da Marco Lacchin e Carlo Tremolada).
A metà maggio la prossima udienza.
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