Srebrenica, 30 anni dopo: Di che Materia è fatto il seme della pace?
Dalla memoria il mondo non sembra aver imparato, forse però sviluppando uno spirito critico c’è ancora speranza. La sfida della riconciliazione con quattro ospiti che parlano del genocidio del ‘95

Il mondo continua a conoscere guerre, nazionalismi e persecuzioni. Ecco perché oggi memoria e menti critiche sono bussole necessarie. Questi i cardini del 151° evento ospitato giovedì 31 luglio nello spazio culturale Materia, intitolato “Srebrenica: dal genocidio ai Frutti di Pace. Memoria e rinascita 30 anni dopo”, che ha visto quattro ospiti diversi confrontarsi su un tema tanto difficile quanto attuale.
Quattro ospiti – Tomas Miglierina, giornalista della RSI; Francesca Milano, direttrice di Chora News; Matteo Fiorini, fondatore di Xmas Project; e Alfredo De Bellis, presidente di Coop Lombardia – si sono alternati sul palco per ripercorrere uno degli eventi più drammatici della fine del Novecento: il genocidio di Srebrenica, avvenuto nel luglio 1995, nel cuore della Bosnia ed Erzegovina.
Il contesto: la frantumazione della Jugoslavia
Come ha raccontato con precisione Miglierina per parlare del genocidio di Srebrenica bisogna conoscere il contesto storico, ciò che c’è stato prima e le cause. La Bosnia orientale – e in particolare l’episodio di Srebrenica – fu al centro della brutale guerra che seguì la dissoluzione della Jugoslavia, uno stato multietnico, federale e socialista che si sgretolò nei primi anni ’90. Le repubbliche jugoslave iniziarono a dichiarare l’indipendenza, e in Bosnia – dove convivevano bosgnacchi (musulmani), serbi (ortodossi) e croati (cattolici) – il conflitto assunse una dimensione particolarmente cruenta e interetnica.
Nel luglio 1995, l’enclave di Srebrenica, proclamata “zona protetta” dall’ONU, cadde nelle mani dell’esercito serbo-bosniaco guidato dal generale Ratko Mladić. Seguirono giorni di orrore: oltre 8.000 uomini e ragazzi bosgnacchi furono uccisi, e le donne videro le loro famiglie smembrate. Un genocidio, come stabilito successivamente dai tribunali internazionali dell’Aia.

Dalla memoria alla ricostruzione: la cooperativa Insieme e “Frutti di pace”
Il cuore della serata è stato però anche un altro: l’importanza della cooperativa Insieme, nata a Bratunac – non lontano da Srebrenica – da un gruppo di donne sopravvissute alla guerra. Donne bosgnacche e serbe che hanno perso mariti, figli, padri. Nemiche, all’apparenza, però unite dal lavoro comune in una fabbrica di marmellate.
«Le pause caffè sono state decisive» – ha raccontato Francesca Milano, riportando le parole delle operaie della cooperativa. «In quei momenti non erano più bosgnacche o serbe, erano solo donne stanche, che condividevano il peso della giornata. Da lì è nata una comunità».
La cooperativa produce confetture, succhi e marmellate con il marchio “Frutti di Pace”, distribuiti anche in Italia grazie a Coop Lombardia, che ha supportato il progetto.
Alfredo De Bellis, presidente di Coop Lombardia, ha sostenuto nel corso della serata la necessità di una ricostruzione del tessuto sociale e lavorativo nei Balcani. «Abbiamo creduto nella possibilità che persone con identità diverse potessero convivere e costruire qualcosa di buono, insieme. È questo il senso profondo del nostro impegno».
Matteo Fiorini inoltre, con il suo progetto Librosolidale – Xmas Project, ha annunciato che il libro solidale di quest’anno in collaborazione con Varesenews sarà dedicato proprio al trentennale del genocidio di Srebrenica.
Parlare di Srebrenica per evitare “la banalità del male”
Il rischio, come ha sottolineato più volte Tomas Miglierina, è quello dell’oblio. «Il genocidio non è frutto di follia, ma di una logica razionale, calcolatrice. Richiede organizzazione, disumanizzazione, indifferenza». Ed è per questo che non si può smettere di raccontarlo. Oggi come ieri, anche a fronte dei conflitti in corso nel mondo, la lezione di Srebrenica ci interpella sulle responsabilità individuali e sul senso della giustizia.
Il discorso a proposito della responsabilità etica di ciascuno di noi nelle situazioni di guerra è in corso. A tal proposito è opportuno ricordare che come la filosofa tedesca Hannah Arendt scrive nel suo saggio “La banalità del male”, non è il pazzo a realizzare genocidi, ma l’uomo mediocre. Il crimine più profondo infatti è la mancanza di pensiero e di spirito critico su ciò che accade attorno a noi.
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