Il sussurro che ha vestito il mondo: addio a Giorgio Armani
Una serata "strana", in una Milano travolta dall'energia di fine estate: "Mentre le strade erano piene di musica nuova e la città ribolliva di energia giovanissima, noi ricordavamo l’uomo che più di tutti ha insegnato al mondo che l’eleganza può essere sobria e potente insieme"

Ieri sera sono passato da Milano, le mie vie: via Arconati, viale Umbria, piazza Martini. Era impossibile parcheggiare. Un dj famosissimo tra i giovani (Fred Again), che confesso non avevo mai sentito nominare, riempiva la città di musica e di folle: a piedi, in monopattino, in bici, in coppia o in gruppetti di ragazzi giovanissimi e meno giovani, tutti convergevano verso lo stesso punto, l’ex-macello di viale Molise. Vibrazione d’estate pura, che non si vuole finisca mai.
Ho intravisto mia sorella in pizzeria, dalla vetrina. Il pizzaiolo era sorpreso: le pizze finite, portate via da quell’ondata di vita che aveva invaso il quartiere. Siamo riusciti a prendere le ultime margherite e le abbiamo mangiate con la mamma, pochi passi più in là, a casa sua.
E lì, inevitabilmente, abbiamo parlato di Giorgio. Sì, Giorgio Armani.
Paola lo ha sempre stimato. Mi ha confessato che tutte le volte che ha dovuto comprare un vestito importante si è affidata a lui. Con loro abbiamo ricordato quello che ci ha raccontato negli anni un nostro caro amico comune, che, fidato amministratore, ha lavorato con lui direttamente per anni: la sua semplicità schietta, la generosità discreta, l’attenzione estrema ai dettagli. Incredibilmente, mia sorella ieri era passata anche da un’agenzia immobiliare in via Solferino. Il proprietario, amico personale di Armani, le ha raccontato che proprio la mattina Giorgio aveva avuto tre gravi crisi polmonari profonde, prima di andarsene. Anche lui lo ha descritto nello stesso modo: capace di donare tantissimo a Milano e non solo, rimanere se stesso dentro un mondo orientato agli eccessi.
E allora, mentre le strade erano piene di musica nuova e la città ribolliva di energia giovanissima, noi ricordavamo l’uomo che più di tutti ha insegnato al mondo che l’eleganza può essere sobria e potente insieme. Perché la qualità più alta di Giorgio Armani non è stata solo lo stile impeccabile, ma la capacità di trasformare la moda in linguaggio universale. Negli anni degli eccessi, ha scelto il sussurro al posto del grido. La sua giacca destrutturata ha liberato uomini e donne da rigidità inutili, regalando fluidità senza perdere autorevolezza.
Ha vestito non solo i corpi, ma un’intera epoca: dal cinema di Hollywood ai manager delle multinazionali, fino alle persone comuni che cercavano, in un vestito, la sicurezza di sentirsi al posto giusto.
La sua grandezza è stata quella di creare un vocabolario permanente dello stile italiano. Non un’icona effimera, ma un canone: studiato nei manuali di moda, certo, ma anche in quelli di sociologia e comunicazione. Il suo impero è rimasto indipendente, fuori dai colossi del lusso, come segno di orgoglio e di autonomia culturale oltre che imprenditoriale. Quello che lascia, oggi, non è solo un marchio. È un modello di imprenditoria culturale italiana, in cui il brand è civiltà, un’idea di bellezza che non separa mai la forma dalla sostanza.
Giorgio Armani era nato a Piacenza, l’11 luglio 1934. La sua famiglia era di origini molto semplici: il padre lavorava come impiegato alla compagnia telefonica, la madre era casalinga. È cresciuto in Emilia, ma il suo destino si è compiuto a Milano, la città che lo ha adottato.
Milano perde oggi il suo re silenzioso, e il mondo un interprete unico dell’eleganza. Ma chissà: forse, tra i ragazzi che affluivano ieri sera al concerto di Fred Again, la città stava già accogliendo un nuovo genio acerbo, pronto a scrivere un’altra pagina della sua storia nel mondo.
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