Quando provare prima i vestiti significa restituire meno. La sfida ai resi parte da tre studenti della Liuc
Fondata nel febbraio 2025 ModaMò unisce l’eccellenza del Made in Italy e la tecnologia del machine learning per trasformare l’esperienza d’acquisto digitale dei capi d’abbigliamento, riducendo resi e impatto ambientale
«ModaMò nasce per dimostrare che la moda del futuro non è solo estetica, ma anche intelligenza, sostenibilità e visione». Con questo slogan tre giovani di 23 anni hanno deciso di sfidare un intero settore, quello della moda. Paolo Scuri, Nicolò De Carlo e Leonardo Giunta sono studenti della Liuc-Università Cattaneo di Castellanza, non ancora laureati ma già fondatori di una startup innovativa nata a Milano nel febbraio 2025. Si chiama ModaMò, nome che racchiude un doppio significato: «moda ora», ma anche «da mò cambia la moda». Un gioco di parole che racconta l’ambizione di questi tre giovani imprenditori: trasformare il modo in cui i brand si relazionano con i clienti, grazie alla tecnologia.
(nella foto da sinistra verso destra: Leonardo Giunta , cfo, accanto a lui il ceo Paolo Scuri e Nicolò De Carlo Cmo della startup)
INNOVAZIONE TECNOLOGICA
L’idea alla base è un plugin basato su intelligenza artificiale e machine learning che permette agli utenti di provare virtualmente i capi, caricando semplicemente una propria foto. «Il cliente diventa il modello – spiega Scuri, ceo e amministratore -. In pochi secondi può vedere il capo indossato e scoprire la taglia perfetta».
Il sistema, integrato nei siti dei brand, genera una simulazione realistica in appena 15-20 secondi, rendendo l’acquisto online più coinvolgente e riducendo il problema dei resi, una delle voci di costo più pesanti per l’e-commerce. Ed è proprio dai resi che tutto è partito. «Un solo reso produce 2,78 kg di CO₂ (fonte, ndr) – sottolinea Scuri – l’equivalente di 340 ricariche complete di smartphone. In Germania si arriva al 54% degli ordini restituiti, noi vogliamo azzerarli».
TRE MODELLI
ModaMò opera in modalità B2B, offrendo tre formule. Nella prima si fornisce un’Api (Application Programming Interface) key per l’integrazione autonoma (si dà al brand l’accesso ai server affinché costruisca il plugin con il suo team tecnico). Nella seconda si fornisce direttamente un plugin personalizzato sviluppato dal team. La terza formula («quella che ci rende scalabili») è un SDK, cioè un pacchetto software installabile che contiene gli strumenti e le librerie necessari per sviluppare applicazioni per una piattaforma specifica. «Noi abbiamo scelto Shopify – spiegano gli startupper- perché è la piattaforma che ha più brand di moda come e-commerce (circa) 540.000, ed è scelta dall’85% dei nuovi e-commerce del settore moda».
LE RISORSE E IL CONTESTO
Dopo un primo round di 65 mila euro, raccolto attraverso business angel e contatti diretti, la startup si prepara a una seconda fase per scalare il progetto e depositare i brevetti. «Il software possono averlo tutti – precisa Scuri – ma quello che conta è come lo si usa. Dietro c’è una visione, e soprattutto una rete di valori umani».
Questi startupper fanno parte del Confindustria innovation hub e del Business Angel Club della Liuc, un ecosistema giovane e creativo, dove tecnologia, finanza e design si contaminano. «Siamo pionieri di una tecnologia che vuole cambiare le regole del gioco – spiega ancora Scuri –. Ciò che dà forza a un imprenditore è vedere le cose per quello che sono veramente, non per come appaiono».
Il contesto, del resto, è favorevole. Nel 2024 le vendite online di moda rappresentavano già il 22% del totale, con un tasso di crescita annuo del 10%. Ma per i tre fondatori il punto di partenza resta uno solo: «Abbiamo cominciato osservando un problema reale, quello dei resi. Da lì abbiamo costruito tutto».
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