“Continuate in ciò che è giusto”. Il messaggio di Langer ci obbliga al futuro
Nel suo libro Alessandro Raveggi racconta la vita e l’attualità di un ambientalista che univa ecologia e pace e che oggi parla più che mai al nostro presente. La presentazione giovedì 18 settembre alle 21 allo Spazio Libero di Materia
Un pensatore capace di guardare trent’anni avanti, un ecologista che legava ambiente e pace, un uomo che ha lasciato un messaggio semplice e potente: «Continuate in ciò che è giusto». L’autore, Alessandro Raveggi, racconta la vita e l’eredità di Alexander Langer nel libro pubblicato da Bompiani, che presenterà giovedì 18 settembre alle 21 allo Spazio Libero di Materia a Castronno (Varese).
Raveggi, nel 1995, quando Langer moriva, lei aveva quindici anni, era dunque un adolescente. Conosceva già il suo pensiero o questa conoscenza è venuta dopo?
«La mia prima conoscenza di Langer è arrivata attraverso una rivista che leggevo da ragazzo, il settimanale Cuore. Nel libro ne parlo come di un evento scatenante: lessi un’illustrazione di Vincino su Alex Langer, di cui allora non sapevo nulla. Quella morte improvvisa, quel suicidio, mi colpì molto. A 15 anni temi come il suicidio ti toccano in modo particolare, restano dentro. Langer è rimasto nella mia memoria e più avanti, durante la mia militanza nei social forum, la sua figura tornava continuamente».
Che cosa l’ha spinta a scrivere un libro su di lui?
«Non è solo la sua storia personale, ma l’attualità dei suoi temi. Viviamo tempi assolutamente “langheriani”: crisi climatica, necessità di accordi di pace, guerre diffuse. Il suo pensiero, che lega ecologia e pacifismo concreto, è ancora attualissimo».
Langer è stato dipinto quasi come un profeta. Lei come lo definirebbe?
«Più che un profeta, io vedo Langer come un pensatore capace di pensare la durata, cioè un uomo che ragionava su idee valide non solo per l’oggi, ma anche per i prossimi trent’anni. È questa la vera cifra dell’ambientalismo: non fermarsi al presente, ma pensare alle generazioni future. Non a caso sulla quarta di copertina del libro l’editore ha scelto la frase: “La terra ci è data in prestito dai nostri figli”».
Il suicidio resta un punto doloroso. Come lo ha trattato nel libro?
«Non volevo scrivere un libro nostalgico né triste. Quel gesto per me diventa un “tempo zero”: ci dice “da qui in poi tocca a voi”. Certo, un evento così violento interrompe, ma simbolicamente lascia spazio. Ho cercato di raccontare Langer con una tenerezza giocosa, restituendo speranza, non disperazione».
Lei parla di un libro romanzato. In che senso?
«Io considero questo libro un romanzo, più che un saggio. È una specie di detective story in cui io sono il detective e Langer è la figura poliedrica da indagare. Non volevo un ritratto monolitico: ci sono tanti Langer, il bambino, l’uomo politico, l’uomo davanti all’albicocco l’ultimo giorno della sua vita. Ho viaggiato fisicamente e nei libri per restituirne la complessità».
Come ha bilanciato empatia e distanza critica?
«Con l’ironia. Guardare certe questioni da lontano permette di coglierne anche i tratti grotteschi, senza mai perdere la tenerezza. È un modo per non lasciarsi schiacciare dalla tragedia e restituire invece la vitalità di Langer».
Il titolo riprende le sue ultime parole: “Continuate in ciò che è giusto”. Che cosa significano per lei?
«È un messaggio di fiducia. Nonostante tutto, Langer ci diceva di continuare, di non lasciarsi paralizzare. Non si tratta solo di seguire lui, ma di proseguire nel solco della giustizia, quella che per lui era insieme sociale, ambientale e politica. Oggi più che mai avremmo bisogno di “facitori di pace”, come li chiamava lui».
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