Libia, il comando NATO attende le decisioni della politica

A Budapest i paesi dell'Alleanza riuniti d'urgenza per prendere una decisione. Il corpo d'armata di reazione rapida di stanza alla Ugo Mara, alla guida della NATO Response Force da gennaio, pronto per ogni evenienza

Al comando NATO di Solbiate Olona «atmosfera tranquilla» e tutto pronto, come sempre, per un eventuale dispiegamento in zona di guerra, qualora ve ne fosse necessità. In realtà si aspetta: che la politica decida se e come agire di fronte a quanto sta accadendo in Libia. Dove, al di là del pur pressante interesse petrolifero (e non solo), è la situazione generale a preoccupare profondamente i governi occidentali, fra massacri e una guerra civile incipiente che rischia di essere combattuta da eserciti dotati di armi spiacevolmente moderne. Presso la Caserma Mara da quasi un decennio ha sede uno dei più importanti comandi di corpo d’armata dell’Alleanza Atlantica, quello del corpo d’armata internazionale di reazione rapida a guida italiana (NRDC-IT, NATO Rapid Deployment Corps, Italy), guidato dal generale Gian Marco Chiarini, già al comando in Iraq durante la battaglia dei ponti di Nassiriya contro gli insorgenti sciiti sadristi.
Il colonello Francesco Cosimato, quale addetto alle informazioni, sta tenendo attentamente d’occhio le notizie in arrivo da Budapest, dove i ministri dei Paesi NATO stanno decidendo il da farsi. La tranquillità alla caserma Mara c’è, nonostante la situazione internazionale possa preludere a una richiesta di dispiegamento sul campo: si dà il caso che il comando di corpo d’armata ricopra in questi sei mesi, secondo la turnazione con i consimili corpi europei, la guida della componente di terra della NATO Response Force, pronta a partire con breve preavviso e a completare lo schieramento con tute le sue aliquote in poche settimane. Ci sono i mezzi; e ci sono gli uomini, personale esperto, «tra noi i meno provati hanno già alle spalle tre o quattro missioni» nei vari teatri in cui l’Alleanza cerca di tenere "il coperchio sulla pentola", dai Balcani all’Afghanistan. «Monitoriamo i teatri di crisi laddove si decidesse di intervenirvi» è la sintesi del colonnello Cosimato. E la Libia stesa, fra molti altri potenziali "punti caldi" del globo, non era del tutto estranea a considerazioni ipotetiche sugli scenari geostrategici, già l’anno scorso. Certo nessuno poteva prevedere l’estensione dell’ondata rivoluzionaria che ha scosso il Nordafrica, un vero 1848 all’araba, nè la violenza della guerra civile esplosa, altrettanto improvvisamente, in Libia, Paese ormai non più povero, grazie al petrolio. «Ma era vero anche della Tunisia» osserva il colonnello Cosimato, «l’anno scorso la visitai per un’escursione a carattere storico, nella zona di Kasserine (teatro di una famosa battaglia in cui "la Volpe del deserto" Erwin Rommel, il migliore tattico di Hitler, travolse inizialmente gli americani per poi esserne fermato per inferiorità di mezzi, nel febbraio 1943 ndr): avevo visto un Paese dove comunque giravano molte auto di recente uscita, le case non saranno state come qui, ma erano in buono stato, e c’erano negozi ben forniti». Pareva insomma un Paese avviato ad un modesto benessere, ma a volte l’impressione è ingannatrice. E non sempre un segno più sul Pil basta a proteggere un regime che ha fatto il suo tempo dall’ira di un popolo oppresso e frustrato.

Per l’eventualità di un intervento, che si dovrebbe presumere mirato prima di tutto all’evacuazione di cittadini stranieri (in queste ore la nave San Giorgio è a Misurata a raccogliere gli italiani), torneranno utili le esperienze ed osservazioni raccolte dalle esercitazioni, quelle "sul campo" e quelle " a distanza", compiute dal comando di Solbiate, come l’ultima del dicembre scorso che simulava appunto un intervento politico-militare, sia pure in tutt’altra zona (Corno d’Africa, Mar Rosso, Oceano Indiano).
Fermo restando che la Libia sarebbe un terreno molto rischioso in cui mettere piede, e sempre che una posizione univoca si raggiunga tra i governi NATO, con la Francia che si è detta disinteressata alla riunione odierna, preferendo portare le questioni all’ONU in cui occupa un seggio permanente, e l’Italia priva del ministro della difesa La Russa, il quale alla riunione d’emergenza dei ministri NATO ha preferito la votazione sul decreto milleproroghe in Parlamento. In mancanza di una presa di posizione statunitense, sempre decisiva, non sarà facile che si raggiunga l’accordo, e Washington ha già le mani fin troppo piene nel mondo islamico senza andare a stuzzicare un Paese, quello fin qui tiranneggiato da Gheddafi, cui è stato ostilissimo per decenni. Fino, nel 1986, sotto il muscolare Reagan (erano i tempi di Top Gun, per intenderci), a bombardarlo in un tentativo (fallito) di decapitation strike, che con l’embargo successivo all’infame attentato di Lockerbie di due anni dopo, riuscì tuttavia, alla lunga, a far abbassare la cresta all’imprevedibile dittatore.

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Pubblicato il 25 Febbraio 2011
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