Pentito “varesino” ammazzato, sospetti su un detenuto sudamericano
Una lettera anonima indica il colpevole ma sul movente è buio pesto. L'autopsia conferma l'omicidio
E’ stato quasi certamente assassinato Abbedine Kemal, il marocchino di 24 anni arrestato nell’ambito dell’operazione antidroga della mobile di Varese (e guidata dal pm Tiziano Masini) ribattezzata “dagadree”, trovato agonizzante nel carcere di Opera due settimane fa. L’uomo è morto il 23 giugno in ospedale a Milano, ma gli inquirenti non avevano capito subito che era stato vittima di un’aggressione, pensando inizialmente a un malore. La verità è emersa anche dopo l’intervento dell’avvocato della famiglia Paolo Bossi e del medico legale Domenico Castaldo. Ieri è stata effettuata l’autopsia che conferma i sospetti emersi in prima battuta e cioè che Abbedine sia stato colpito con una mazza o un corpo contundente rigido, avvolta in un panno per non lasciare tracce. Un colpo che gli ha devastato la scatola cranico e ne ha determinato la morte. Ci sono già anche i primi sospetti: una lettera anonima giunta alla direzione del carcere di opera indica in un altro detenuto, un sudamericano, l’autore materiale del delitto. L’abboccamento sembra serio e l’uomo potrebbe già essere sospettato di essere coinvolto ma non sono chiari i motivi dell’assassinio. Kemal aveva collaborato con la giustizia e la sua pena era stata ridotta in appello a 3 anni mezzo: stava anche per uscire di prigione, e pare avesse esternato la sua gioia agli altri detenuti. Ma si era anche diffusa la voce che aveva collaborato; i suoi famigliari temono che sia stato bollato come un “infame” da altri detenuti e che questo possa essergli costato la vita. Ma che relazione ha l’agguato con l’inchiesta dagadree? Al momento non è per nulla chiaro perchè nessun sudamericano era coinvolto in quella vicenda.
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