Fondi neri con gli appalti pubblici, il sistema Castiglioni
Secondo i giudici di primo grado, che lo hanno condannato a 4 anni per riciclaggio ed evasione fiscale, il sistema utilizzato negli appalti pubblici "era un macroscopico, perverso, ingente utilizzo di fatture false grazie a prestanome"
Era l’appalto diretto o – più spesso – il subappalto di lavori pubblici la situazione ideale nella quale i fratelli Castiglioni riuscivano a far funzionare il loro sistema di autofinanziamento occulto, per il quale Matteo Castiglioni è stato condannato in primo grado a 4 anni di carcere. La Castiglioni Srl, infatti, non si faceva sfuggire mai l’occasione di entrare all’interno di grossi appalti dei comuni del Basso Varesotto per opere che prevedevano lavori stradali o alla rete d’illuminazione. Grazie al sistema dei subappalti e a due società fittizie come la Macoema srl e la Power srl gestite da prestanomi, spesso invalidi e nullatenenti, l’azienda bustocca fatturava prestazioni che – secondo i giudici – non sarebbero mai avvenute e per importi decisamente superiori a quelli che la stessa Castiglioni incassava dall’impresa madre, lavorando di fatto in perdita.
Durante il processo, che si è svolto a porte chiuse e con rito abbreviato nell’aula Falcone e Borsellino di Busto Arsizio, è emerso che la Castiglioni srl era presente in numerosi appalti come la realizzazione di un parcheggio dell’Agesp a Busto Arsizio (quello di via Culin), in un appalto a Ferno, un altro a Castellanza e uno a Gallarate. In tutte queste occasioni – sia in qualità di società appaltatrice principale che in subappalto – ha inserito a volte la Macoema, a volte la Power in base al tipo di lavori da effettuare. Alle due società venivano consegnati piccoli lotti di lavori ma – secondo molte testimonianze raccolte dall’accusa – nessuno della Macoema o della Power si presentava in cantiere per lavorare. Inoltre alcune volte le due società non venivano neanche segnalate all’impresa appaltatrice e al comune che dava in appalto il lavoro.
A far sgranare gli occhi ai giudici, poi, il fatto che la Macoema avrebbe fatturato alla Castiglioni cifre più alte di quanto la Castiglioni riceveva dalla stazione appaltante o dall’impresa appaltatrice. Nel caso del parcheggio di via Culin, ad esempio, la Castiglioni ha fatturato alla ditte principale lavori per 41 mila euro e la Macoema, per gli stessi lavori, fatturava 244 mila euro, una differenza negativa di oltre 200 mila euro che sarebbero serviti a creare fondi neri. Grazie a questa serie di operazioni messe in atto tra il 2006 e il 2007, dunque, la Castiglioni srl metteva a bilancio passivi fittizi per 2 milioni abbattendo gli utili. Nelle motivazioni della sentenza sono spiegati tutti i passaggi di danaro e sono presenti le testimonianze delle teste di legno che venivano messe a capo di queste due società: si tratta di invalidi e nullatenenti che non hanno alcuna conoscenza di come si amministra un’impresa, allettati solo dalla possibilità di poterci guadagnare qualcosa.
Secondo i giudici Adet Toni Novik, Maria Greca Zoncu e Daniela Frattini, Matteo Castiglioni «non può sostenere di essere estraneo agli illeciti fiscali commessi dalla Macoema e dalla Power in quanto nessuno dei due operatori aveva strutture idonee a svolgere i lavori richiesti , né attrezzature, magazzini, operai qualificati. Appare impossibile agli occhi della corte, infatti, che la Castiglioni lavorasse in perdita. Nelle motivazioni i giudici definiscono il sistema un macroscopico, perverso, ingente utilizzo di fatture false che non può prevedere alcuna buona fede».
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