Tra profughi e venegonesi, dove è nata una comunità

Nel campo profughi allestito nella palestra della scuola Don Milani vi sono ospitate 64 persone, gestite a rotazione da 50 volontari della Croce Rossa e da quasi 100 volontari provenienti dal paese. Il 23 agosto dovranno lasciare libera la struttura

Campo Profughi a Venegono Inferiore

Sono tutti molto giovani, sui 20 e 30 anni e in poche settimane hanno creato, con l’aiuto della popolazione di Venegono Inferiore, una vera e propria comunità. È il campo profughi che si trova nella sede distaccata della scuola superiore Don Milani di Tradate, l’unico campo in provincia di Varese interamente gestito dalla Croce Rossa. Vi sono 64 persone, provenienti da 7 nazioni diverse, quasi tutte fuggite dalla guerra o da una situazione di persecuzione. Hanno tra i 18 e i 30 anni e potranno rimanere in questa struttura fino al 23 agosto: nei prossimi giorni, infatti, il Prefetto comunicherà alla Croce Rossa dove dovranno essere trasferiti.

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«È un peccato abbandonare questa scuola ma giustamente inizieranno le lezioni – racconta Mario Grassi, responsabile provinciale dell’associazione che ci ha accolto per una visita nel campo -. Questa palestra si è ottimamente prestata per allestire tutte le necessità, dal dormitorio alle tende per le attività didattiche, fino agli spazi ludici».
In questo mese e mezzo di attività si sono alternate 50 persone della Croce Rossa su diversi turni, provenienti dai 7 distaccamenti della provincia di Varese. Supportate nell’attività da quasi 100 persone volontari di Venegono che hanno dato la loro disponibilità in diversi settori: assistenza, insegnamento, pulizie e molto altro.

«Non abbiamo avuto alcun tipo di problema – racconta Manuel Mondori, il giovane capo campo, sempre presente con Veronica Macchi, addetta alla segreteria e factotum, come la definiscono in molti -. L’integrazione con la popolazione del posto è stata perfetta. A noi risulta che non ci siano stati disordini di alcun tipo. Anzi, diverse associazioni hanno fatto molto: dalle lezioni di italiano con la scuola per stranieri a chi veniva a organizzare cineforum la sera con due proiettori e film in lingua originale, fino ai ragazzi dell’oratorio che tre volte alla settimana organizzavano dei tornei internazionali».

Diverse le storie dei giovani presenti. Parlano italiano a diversi livelli. In queste settimane sono stati suddivisi in quattro classi, a seconda del livello di comprensione della lingua italiana e delle propensioni. Al livello base vi sono soprattutto quelli che arrivano dal Bangladesh, proprio perché hanno un alfabeto diverso. Con tutti gli altri si riesce a comunicare anche in inglese e francese.

Kindi arriva dalla Guinea, parla poco e disegna molto: ha un gran talento e ha disegnato lui il cartello che accoglie tutti in entrata con le 7 nazione da cui provengono i profughi. Oggi sta preparando i disegni per gli assistenti della croce Rossa: sono il suo saluto per quando dovrà essere trasferito con gli altri.
King, come vuole farsi chiamare, è un 20enne orgoglioso del suo cappellino con la scritta Milano e di spiegare il suo ruolo: la bidella della scuola gli ha assegnato il campito di bagnare i fuori su una balconata, non deve farli morire. Makan ha invece 23 anni, arriva anche lui dal Mali dove ha lasciato un padre malato. È scappato per poter aiutare la sua famiglia. Siaca proviene poi dalla Costa D’Avorio, e ha 25 anni: «Mi stavo per laureare in Geografia, ma sono dovuto scappare perché vi erano troppi scontri. Si rischiava la vita ogni giorno».

Keita ha 18 anni, proviene dal Mali: «Sono scappato dalla guerra e sono arrivato con un barcone. Ho lasciato là i miei genitori, ma li sento tutti i giorni». Le comunicazioni sono possibili grazie al wi-fi donato da Eolo e disponibile per tutti per due ore al giorno. «Gli orari sono importanti – raccontano Kone Lacina e Lamin Kambi, mediatori culturali della Croce Rossa -. La difficoltà principale è stata affrontare i diversi dialetti in cui parlano, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Tutti rispettano gli orari, dalle lezioni del mattino alle pulizie del pomeriggio. Siamo molto soddisfatti dell’armonia che si è creata».

«Ha giovato molto poter comunicare con la propria famiglia – conclude il responsabile Grassi -. Questo aiuta a mantenere una situazione tranquilla, oltre all’organizzazione. È un peccato dover lasciare questo posto. Speriamo che con la nuova destinazione il gruppo non venga frammentato perché è più semplice gestire tutto insieme. Per noi è una grande esperienza, è un po’ come essere tornati a gestire le situazioni dei campi profughi all’estero. È diverso da un terremoto, qui si scoprono diverse umanità». 

Manuel Sgarella
manuel.sgarella@varesenews.it

 

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Pubblicato il 18 Agosto 2015
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