Binda fa ricorso in Cassazione
Gli avvocati hanno scelto di evitare il Tribunale del Riesame
Fa ricorso in Cassazione Stefano Binda, 48 anni, in carcere da dieci giorni con l’accusa di aver ucciso Lidia Macchi. Nessuna richiesta di revoca della misura cautelare al Tribunale del Riesame di Milano, ma un tentativo di ottenere un giudizio di insussistenza delle tre esigenze cautelari contestate: il pericolo di fuga, quello di inquinamento probatorio e quello di reiterazione del reato. La Cassazione si pronuncerà entro 30 giorni. Secondo gli avvocati difensori non esisterebbe né il pericolo di fuga né quello di inquinamento delle prove, mentre l’ordinanza ha ritenuto possibile la fuga perché Binda non è sposato. Inoltre il fatto che abbia contattato nei mesi scorsi gli ex amici di Cl, viene considerato un tentativo di fare delle pressioni.
NUOVI INTERROGATORI
Intanto dalla procura generale si viene a sapere che gli inquirenti stanno per procedere con interrogatori effettuati con la formula dell‘incidente probatorio. Bisogna insistere e sperare che qualche ricordo riaffiori tra gli ex amici di Lidia Macchi. Saranno ascoltati, alla presenza dell’avvocato, i ragazzi che in quei gironi della fine 1986 erano più vicini a Lidia. P-B., la testimone della lettera, ma anche altri, probabilmente anche don Giuseppe Sotgiu, all’epoca miglior amico di Stefano Binda e oggi sacerdote a Torino, a cui nel 1987 venne anche preso il dna.
L’EX POLIZIOTTO
L’idea di risentire ancora gli ex ragazzi dell’epoca, e la circostanza della lettera indicata come scritta da Binda dopo 29 anni grazie al ricordo di un amica, fa il paio con quanto affermato dall’ex capo della Squadra Mobile di Varese Giorgio Paolillo. “I ragazzi di Comunione e liberazione durante la nostra indagine del 1987 si chiusero a riccio. Mentre Stefano Binda, l’indagato, per me è un perfetto sconosciuto. Non faceva parte delle persone ritenute più vicine a Lidia”.
(L’intervista a Giorgio Paolillo)
LA RIESUMAZIONE
Si allungano i tempi invece per una possibile riesumazione della salma, gli inquirenti preferirebbero evitarla ma potrebbero esservi costretti. Non sono in programma al momento prelievi del dna agli amici di Lidia, anche in questo caso si tratta di ipotesi che potrebbero prendere corpo in caso di gravi contraddizioni emerse dalle testimonianze. L’obiettivo è quello di individuare la persone che avrebbe spedito la lettera “In morte di un’amica” che secondo le accuse è stata scritta da Binda ma ma imbustata da qualcun ‘altro (non c’è il dna di Binda sui lembi).
L’ALIBI
Quanto alle testimonianze contenute nell’ordinanza di custodia cautelare Binda afferma di essere stato, nei giorni del delitto, a Pragelato a una vacanza di Cl. Gli inquirenti hanno sentito una quarantina di testimoni. La maggior parte afferma di non ricordare se lui fosse presente. Un testimone sostiene che non c’era, mentre un altro testimone dice di ricordarselo.
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