Gli ultimi custodi dei pascoli

Due figli e 350 pecore: Cristian è partito da Bodio Lomnago per arrivare alle pendici del monte Lema col suo gregge. Non solo una questione di alimentazione per gli animali, che in questo modo fermano l’avanzata del bosco

Barba ispida, poche parole, due cani per amici, un giovane aiutante e il suo gregge, portato fin quassù a 1.200 metri, fra il vento e il sole che picchia forte, sottratto dalle coccole del lago di Varese, che dà la casa ai suoi animali durante l’inverno.

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Cristian Capuzzi, 42anni fa l’allevatore, ha due figli piccoli che ogni tanto gli fanno compagnia in mezzo ai prati, proprio come Heidi, fiaba vissuta però in versione varesina.
Lui dorme nella roulotte, si sveglia all’alba e va a dormire quando anche il sole spegne la luce.
«Non ci sono lupi, qui, almeno per ora. Ma le aquile sì, le ho viste l’anno scorso su al Lema: bisogna stare attenti perché in un attimo si portano via un piccolino».

Cristian vive così, coi suoi animali da carne che vende soprattutto a stranieri: piacciono molto, anche per motivi religiosi, ai musulmani, che li utilizzano per il rito del Sacrificio. Ma c’è anche un pubblico di consumatori italiani abituati al sapore di questa carne che sa di erba e di montagna.
Già, la montagna. Siamo al Pradecolo, comune di Dumenza. Più in su partono i sentieri per il Monte Lema, 1600 metri circa, e per l’Alpone, propaggine di Curiglia.

L’economia della pastorizia qui è al lumicino: «Si calcola che è rimasto solo il 5% dei pascoli che un tempo rappresentavano la base dell’economia di montagna» spiega l’agronomo Valerio Montonati, amante di questi luoghi e che ci accompagna in questo breve tour per raccontarci di una battaglia invisibile, che si combatte nel folto del sottobosco e che vede proprio le ultime greggi come soldati che contrastano l’avanzata delle felci. «Qui siamo proprio sul confine fra prato e bosco: le felci, quando il pascolo viene abbandonato, sono le prime ad arrivare – spiega Montonati – . Poi fanno la comparsa i cespugli, le betulle, e poi arriva il faggio. Ma nel frattempo ciò per cui un tempo, nei secoli passati, si faceva la guerra col vicino, vale a dire il pascolo, oggi vene lasciato in molti casi al suo destino».

I 350 custodi dei pascoli del Lema

Esiste una scienza per tutto questo. Ma di fatto la migliore tecnica è quella di affidare alle pecore o alle capre la manutenzione. Anni fa fece sorridere l’idea di una multinazionale di impiegare questi animali per tagliare l’erba, ma in pianura. Quassù, per mantenere ancora il pascolo, gli unici in grado di assicurare questo sono gli ovini. Anche i bovini hanno necessità d’erba, ma di una qualità più raffinata: questo non è foraggio da stalla ma quasi sottobosco.
E oggi si rivive quel che fu un po’ la storia di questo luogo, del Rifugio Campiglio; così si chiama per via della famiglia dell’hinterland milanese che nella prima metà del ‘900, fra le due guerre, portava in treno da Corsico le vacche fin sul Lago Maggiore: scendevano alla stazione di Luino e tempo qualche giorno erano già in quota, a passare l’estate al fresco e con erba buona. Poi dalla stalla che era, la struttura si è evoluta ber diventare ciò che è adesso: un ristorante con terrazza e camere, da cui si gode fresco e panorama impagabile, che funge da punto di partenza per camminate, o di arrivo. È gestito da Luca Della Fontana, che l’ha rilevato qualche anno fa.

Proprio dalla terrazza si vede il via vai di Peter, un meticcio dagli occhi azzurri, e di un giovane cane da pastore tedesco, Lilli: insieme vegliano sulla massa, e su chi si distrae, come i più giovani, invitandoli a muoversi – a seconda – verso l’acqua o l’ombra.
«Si guadagna, ma non si diventa ricchi, con questo lavoro, che non ha sabati né domeniche, né stanchezza o malattia: le bestie le devi seguire, e curare» spiega Cristian, mentre Enzo, il suo aiutante barbuto, che arriva da Ispra, annuisce.

La verità è che forse, col lavoro delle bestie di Cristian, ci guadagniamo un po’ tutti: più cura dei pascoli vuol dire presidio del territorio e conservazione di un patrimonio naturale, economico e quindi culturale che queste vallate meritano.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 12 Luglio 2016
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