Tre Valli e Valcuvia, storia di un grande amore

La partenza da Brunello e l'amaro Monier, i cento mila spettatori alla ricerca di fresco e l'arsura: il racconto della "prima volta" di Giorgio Roncari, che nel 66' seguì l'amatissima corsa e molte altre edizioni

Le storiche della Tre Valli

Sono passati 50 anni. Eppure il ricordo vivo di chi assistette alla Tre Valli, una di quelle corse “in casa”, a Cuvio, è ancora vivissimo.
Per questo proponiamo per intero il racconto vergato da Giorgio Roncari, scrittore e storico locale che ben spiega cosa rappresentasse questa competizione – e cosa ancora sia –  per i tantissimi amanti di questo sport.

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La Tre Valli nella storia 4 di 5

Come ogni anno moltissime persone in Valcuvia seguiranno la gara dando vita ad una vera e propria manifestazione collettiva d’affetto per questo sport e per i suoi interpreti. Non ci sarà la “fiumana” descritta da Roncari, ma questa corsa il cuore ancora lo fa battere.

 Sulla scorta delle forti salite e delle vigorose pedalate che da decenni si susseguono in queste valli, numerose sono le testimonianze legate all’agonismo che già da giovani molti ragazzi da queste parti praticano con onore e dedizione (AC).

 

Negli anni Sessanta e Settanta a Cuvio  fu piazzato l’arrivo della classica di ciclismo “Tre Valli Varesine” kermesse che diede al paese risalto internazionale.

La prima volta fu nell’estate del ’66 e venne trasmessa dalla RAI col commento di Adriano De Zan. Si corse il 7 agosto ma l’eccitazione era palpabile già da tempo: mai era successo che questa corsa terminasse in Valcuvia, la terra del grande Binda. La competizione era sponsorizzata dalla ‘Monier Amaro’, specialità prodotta da un liquorificio di Brunello e la settimana prima della corsa, la strada provinciale del paese, per lungo tratto, venne inondata da scritte che reclamizzavano quest’elisir; ce n’era una ogni venti metri e rimasero visibili per mesi e mesi.

La partenza fu data davanti ai capannoni della ‘Monier Amaro’, a Brunello, sotto un cielo grigio; poi si doveva effettuare un tragitto lunghissimo, circa 280 km, pedalando attorno al lago di Varese e quindi in Valcuvia con un circuito da ripetersi dodici volte, salendo da Rancio al Brinzio e, ritornando da Cabiaglio, a Cuvio, dove l’arrivo era posto all’altezza del cimitero vecchio di Bofalora, oggi ‘Centro Sportivo’. Fu una ‘Tre Valli’ tutta italiana con una novantina di partecipati; pochissimi gli stranieri. C’erano Motta, vincitore dell’anno prima e del Giro, Dancelli campione d’Italia e conquistatore della Freccia Vallone, Gimondi, dominatore della Parigi-Roubaix, e poi Zilioli, eterno secondo, Bitossi cuore matto, Taccone, il camoscio della Maiella. Fra i varesini c’era grossa attesa per ‘Pep’ Fezzardi, nel giro della nazionale.

Quando la corsa giunse in Valcuvia, comparve un sole afoso che cominciò a cuocere i ciclisti e la gente affollata sul percorso, numerosissima, forse più di centomila, alla ricerca di ombra, acqua e cappelli di paglia. Il Brinzio si dimostrò duro e il gruppo, fin lì compatto, si sgretolò giro dopo giro tanto che al traguardo si presentarono solo in sei: Zilioli, Motta, Taccone, Dancelli, Bitossi e Vicentini, un giovane quasi sconosciuto ai più, ma che da dilettante aveva conquistato il titolo iridato nel ’63. Dopo la curva del Bevilacqua, Dancelli lanciò la volata ma Motta, suo capitano, lo saltò e andò a vincere a mani alzate. Si trattò però di un successo contestato perché Zilioli, approfittando della distrazione di Motta, in rimonta lo passò: prima o dopo il traguardo? C’era la TV ma non il fotofinish ed il giudice assegnò la vittoria a Motta respingendo un reclamo della ‘Sanson’, per la soddisfazione della nonna di Motta, vecchietta arzilla che firmò autografi a tutti.

Fu una corsa dura, ad eliminazione, durata più di sette ore e conclusa da soli 42 ciclisti. Il giorno dopo sui giornali, le cronache scrissero di ‘finale giallo-rosa a Cuvio, con l’ombra di Zilioli sul successo di Motta’. Erano, infatti, molti quelli che avevano visto la ruota dell’Italo sfrecciare davanti, e le foto parevano confermare, fra questi l’inviato de ‘La Prealpina’ e anche chi scrive, presente sulla linea d’arrivo, praticamente sdraiato sotto l’intelaiatura del palco d’onore.

Dopo questa storica ‘Tre Valli’, ci furono gli anni dedicati al nascente ciclismo femminile che viveva, a quei tempi, sulle sfide fra Morena Tartagni ed Elisabetta Maffeis, con la gente della valle a tifare per la cavonese Pinuccia Banchini.

Poi tornò la ‘Tre Valli’ per volontà dei fratelli Umberto e Bernardo Mascioni, industriali locali. Per tre anni la classica varesina, organizzata sempre dalla società ‘Binda’ di Varese, partì davanti agli stabilimenti ‘Mascioni’ e arrivò in paese. Il ritorno del ciclismo professionista avvenne nel ’72, il 29 luglio, un sabato.

Il percorso non era particolarmente duro: una sgambata attorno al lago di Varese e quindi il circuito valcuviano Cuvio, Orino, Gemonio, Cittiglio, Cuvio, da farsi una dozzina di volte. Il traguardo era posto davanti al garage Bevilacqua.
Poteva essere la corsa dei velocisti, ed infatti erano presenti Basso e Zandegù, i due rivali italiani che infiammavano le folle, ma anche i belgi Sercù e Roger De Vleminck.

C’erano anche i fratelli Pettersson, passisti svedesi che fra i dilettanti avevano vinto di tutto e poi i più popolari campioni italiani. Tra i varesini il più motivato era Miro Panizza convocato per il mondiale di Gap. Ci fu la diretta del primo canale della Rai. Vinse Giacinto Santambrogio con una ventina di secondi su Basso che regolò il plotone e la settimana dopo soffierà, in una drammatica e storica volata, il mondiale a Bitossi.

Quella del ’73 fu la ‘Tre Valli’ più prestigiosa disputata a Cuvio perché assegnò il titolo di Campione d’Italia. Fu studiato un percorso nervoso, con varie salite, che andava a toccare tutte le valli dell’alto Varesotto. Dopo il consueto giro attorno al lago di Varese, passaggio dal capoluogo e giù per la Valceresio fino a Porto e Ponte Tresa, poi il Marchirolo, Grantola e Germignaga, su a Brezzo fino a Nasca e di nuovo salita sul S. Antonio, discesa da Arcumeggia, Cittiglio e ancora a Varese per tornare, via Cabiaglio, a Cuvio dove, per finire, c’era il circuito che saliva dal Brinzio, da fare quattro volte: in tutto 257 km. Essendo in palio il titolo italiano tutte le squadre avevano portato i loro campioni. Fra i favoriti Gimondi, campione uscente, Bitossi, in grande forma e il solito Motta; si aspettavano i giovani rampanti, Battaglin, Francesco Moser, Bertoglio, e fra i varesini, il neoprofessionista Luciano Borgognoni, iridato nell’inseguimento a squadre nel ’71, e naturalmente Panizza che ci teneva a vincere il titolo nella sua terra. C’erano anche Basso e Gavazzi ma non pareva una corsa per sprinters.

Si corse domenica 24 giugno fra la solita fiumana di tifosi entusiasti. Sul S. Antonio Lanzafame, di Cassano Magnano si aggiudicò il Gran Premio della montagna messo in palio da Renato Berti. Arrivarono in nove e sul traguardo, posto davanti a Centro Sportivo in Bofalora, Enrico Paolini la spuntò di un niente su Marcello Bergamo e sul mai domo Zilioli, Paolini era allora un corridore poco conosciuto dal grande pubblico ma avrà modo di rivincere altre due volte il titolo.

L’ultima volta che la classica varesina trovò ospitalità a Cuvio, fu il 10 agosto ’74, sabato di S. Lorenzo, e fu la più corta delle quattro edizioni con 242 km. Partenza sempre dalla Mascioni e consueto giro del lago di Varese fino alla Schiranna, poi Gavirate, Caldana, Cuvio, Grantola, su per il Montegrino e giù a Luino, Castelveccana, ascesa anche stavolta al S. Antonio, Arcumeggia, Cuvio e, per concludere, un circuito da ripetersi sette volte con il Brinzio da fare in discesa, richiesta fatta dal DS, Nino Defilippis, per rendere il percorso similare a quello dell’imminente mondiale di Montreal.

Quasi cento erano gli iscritti, c’erano tutti i campioni italiani ma non c’era un favorito, si parlava di Gimondi, campione del mondo (che poi si ritirò), di Battaglin, Paolini, ma anche di qualche outsider. C’era pure una buona schiera di varesini agguerriti: Panizza, Borgognoni, Lanzafame, Sorlini, Caverzasi e Lualdi.

L’arrivo era in leggera salita, sulla strada per Comacchio e fu il lecchese Tino Conti che andò a cogliere la vittoria più importante della sua carriera distaccando di un minuto Santambrogio, e di due Paolini, Panizza e Borgognoni festeggiatissimi. con quest’ultimo atto si concludevano i giorni memorabili delle ‘Tre Valli’ a Cuvio.

Nei mesi successivi si parlò di Giro d’Italia: ci furono contatti, si dissero cose grandi per l’immediato futuro: tre giorni di festa con un arrivo in paese, una cronometro il giorno successivo sulle strade della valle e la partenza il terzo. Tutto però rimase un sogno. Anni dopo, nel ’90, si corse al Sacro Monte una cronometro da tregenda sotto la bufera che consegnò il giro a Bugno e più tardi, nel ’95, ci fu un arrivo a Luino con un Chiappucci scatenato ma bruciato dal russo Berzin.

A Cuvio però, il rutilante e variopinto mondo del ciclismo, con le fiumane di tifosi, le code frastornanti delle ammiraglie strombazzanti, le mischie per impossessarsi di un gadget, un cappellino o una borraccia, le confusioni attorno ad un campione per un autografo, i giornalisti in cerca di scoop o curiosità di colore, a Cuvio, dicevamo, non si videro più.

Giorgio Roncari


Questo racconto è stato pubblicato nel sito della Proloco di Cuvio

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 22 Settembre 2016
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