Bersani: “Il Sì divide l’Italia, meglio un No”

Grande affetto del pubblico e una serata con ragionamenti pacati e molta politica

bersani comitato no

L’affetto del popolo della sinistra non è cambiato. Pierluigi Bersani deve stringere mani e scattare foto con quasi tutti i presenti all’incontro di Varese, prima di poter andare via. E’ il segno di un rispetto antico, per un personaggio politico che rappresenta, probabilmente, un baluardo di una sinistra più socialdemocratica e meno rottamatrice. Martedì sera alla sala auditorium del liceo musicale di Varese, però, tutti si sono sentiti a casa, riuniti sotto le bandiere figurate del No; con Bersani c’erano Anpi e Arci, rappresentate dai presidenti regionali Tullio Montagna e Paolo Cortesi. Sui temi caldi l’ex segretario non si fa attendere: “Il Sì porta instabilità, il No invece è il time out, è un anno di tregua in cui, buttato a mare l’Italicum, fai le leggi elettorali per Camera e Senato, la smetti con le divisioni nel Paese e ti riorganizzi”

A formulare le domande il direttore di Varesereport Andrea Giacometti. Bersani ha volato alto, spiegato il suo no a questa riforma costituzionale, delineato scenari e dato una visione. A un certo punto è stato chiaro nel dire che, nel Pd, non si mai discusso davvero di questo progetto e che anzi, la vittoria del No paradossalmente potrebbe stimolare il fatto che di una riforma condivisa si cominci finalmente a parlare.

 

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“La mia storia parla per me” dice Bersani, e sottolinea come lui dal Pd non è andato via perché la politica si fa in comunità senza anteporre i problemi personali. C’è però un problema di mancanza di democrazia e una scarsa rappresentatività del popolo nella riforma, ci sono errori, e c’è una legge elettorale che distorce il premio di maggioranza. L’ex capo della “ditta” ne ha parlato più volte, ha posto il problema, ha cercato interlocuzioni, ma alla fine è giunto alla conclusione di questa sera: “Se questi sono i metodi dei vincitori, beh allora io preferisco stare con i perdenti”. Un grande applauso lo ha salutato, ma naturalmente Bersani non pensa affatto che debba vincere il Sì. E anzi, ritiene che se vincerà il No ci sarà semplicemente uno stop di riflessione a un governo che, comunque, dovrà rincominciare a fare il suo lavoro. Mentre al parlamento forse si potrà cominciare a dare maggiore centralità.
In coda c’è stato il tempo per alcune domande vis a vis.

Per tirare le somme, che clima percepisce oggi, è preoccupante?

“Sì è preoccupante perché si tende un po’ ad avvelenare la situazione, per esempio in questi giorni si minacciano disastri se vince il No. E’ una china sbagliata e ingiusta ed è anche pericolosa perché espone il paese a delle speculazioni di ordine finanziario e politico. Io mi aspetterei che chi ha responsabilità istituzionale e di governo dicesse al mondo che questa è una vicenda italiana, che non succede niente e che quindi non c’è nessuna ragione di avere delle fibrillazioni di questo tipo. Dovrebbe essere un messaggio molto chiaro, molto forte. Purtroppo invece succede un po’ il contrario…”.

Se il 4 dicembre vince il No, che succede?

“Il governo deve continuare ad andare avanti, con qualche correzione nelle politiche sociali ed economiche; il parlamento deve occuparsi a quel punto di rifare la legge elettorale e credo quindi che avremo un anno nel quale il sistema può riflettere sulle prospettive del paese e della nostra democrazia. Il Sì non dà queste garanzie. Avremo il senato che non c’è più nella costituzione ma continua a dare le fiducie, dopo di che le cancellerie e i mercati ci chiederebbero, ma chi vince adesso? Vince Grillo? E noi continueremmo a balbettare sotto questo punto interrogativo”.

Dino Zoff ha definito Renzi esagerato, in una recente intervista. Lei come lo definirebbe?

“Dino Zoff è un grande portiere e sa anche misurare le parole, io non so se saprei misurarle così…”.

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 23 Novembre 2016
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