Intelligenza artificiale: un sogno dell’uomo sin dall’antichità

All’Università dell'Insubria si è tenuto un seminario dal titolo “Intelligenza delle Macchine e Neural Computing”, parte di un per gli studenti delle superiori.

elisabetta binaghi

«L’Intelligenza artificiale non è più un argomento di nicchia, ma mainstream»: così la professoressa Elisabetta Binaghi ha introdotto il seminario “Intelligenza delle Macchine e Neural Computing” tenutosi all’Università degli Studi dell’Insubria a Varese. Organizzato nella sede di via Monte Generoso dal corso di laurea di Informatica, l’incontro è stato l’ultimo di quattro lezioni frontali e laboratori nell’ambito di un progetto di stage rivolto agli studenti delle superiori.

Alla base del seminario c’era la constatazione dell’importanza sempre crescente e continua, da settant’anni, degli studi sull’Intelligenza artificiale da parte della comunità scientifica e non solo. Sono infatti molti gli esempi negli ultimi anni della consapevolezza, sempre più evidente nell’opinione di massa, di queste ricerche anche in ambiti ludici (per esempio film come 2001 Odissea nello Spazio, Star Wars, Blade Runner, Ex Machina, Io Robot) e pratici (riconoscimento vocale e visivo dei motori di ricerca e degli smartphone, piloti automatici, sentimental analysis di testi ed individui, ecc.).

“Del resto questo interesse per l’Intelligenza artificiale è antichissimo” spiega la professoressa Binaghi, “sin dai tempi degli antichi Greci, come i servi meccanici del dio Vulcano (tecnicamente dei veri e propri autonomi) o le macchine di Erone d’Alessandria. Questo interesse è poi proseguito nel tempo, dal Golem della tradizione ebraica, ai robot umanoidi di Leonardo fino agli “scrivani” del XIX secolo”.

Ma ciò che interessa alla comunità scientifica, che è anche l’obiettivo della branca della scienza definita appunto Intelligenza artificiale, è realizzare Agenti Intelligenti che prendano autonomamente informazioni dall’ambiente e le sfruttino per eseguire delle azioni. Insomma, che abbiano un comportamento che si possa definire intelligente, e non un’azione compiuta tramite una serie di ingranaggi e soluzioni meccaniche preposte a quello scopo, come i robot di Leonardo o del XIX secolo. Qualcosa di simile a R5, il robot astronauta della Nasa, che presto potrebbe sbarcare su Marte sostituendo gli uomini e che è l’esempio più vicino a raggiungere l’obiettivo di Intelligenza artificiale finora realizzato.

“Non tutti poi“ spiega la professoressa “sono concordi sulla definizione di Intelligenza Artificiale: è una macchina che ha una propria coscienza o semplicemente simula un comportamento intelligente?”. È anche su questo punto quindi che si concentrano le ricerche dall’inizio degli anni 40 del 900, nel tentativo di raggiungere l’agognata Intelligenza Artificiale.

Dal 1943 al 1969 c’è stato il periodo detto “di gestazione”, in cui gli scienziati hanno ottenuto i primi risultati promettenti che hanno acceso gli entusiasmi, come per esempio gli esperimenti di McCulloch e Walter Pitts sulla formalizzazione di un neurone artificiale, o quelli celebri di Turing, fino ai successi delle macchine definite Logic Theorist e in seguito General Problem Solver, in grado di risolvere problemi logici e dimostrare teoremi.

Tra il 1963 e il 1970 circa invece sono gli anni di crisi delle ricerche, che si sono scontrate con le difficoltà ad affrontare i problemi reali (per esempio il riconoscimento vocale e visivo), che soltanto dagli anni 80, periodo di ripresa della disciplina, sono stati risolti (o si stanno risolvendo) grazie soprattutto alla collaborazione di fisici e biologi, che hanno battuto strade diverse più basate sulla matematica, logica e funzionamento del cervello.

Le ricerche sono così proseguite fino ai giorni nostri, in cui si parla di Neural Computing, ossia di intelligenze artificiali che simulano reti di neuroni e sono capaci di imparare dalla propria memoria. Si tratta quindi di uno dei primi casi in cui si può dire che la macchina ha un atteggiamento “razionale”.

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Pubblicato il 17 Febbraio 2017
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