Quattro anni fa un cane aggredì mamma e figlia: “Vogliamo giustizia”

Dopo l'ennesimo rinvio del processo la donna ha voluto scrivere a VareseNews per urlare la propria voglia di giustizia

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Quattro anni fa mamma e figlia vennero aggredite da un grosso cane a Comerio, a pochi metri dalla propria abitazione. Dopo l’ennesimo rinvio del processo la donna ha voluto scrivere a VareseNews per urlare la propria voglia di giustizia

19 Ottobre 2017…sono passati quattro anni e due giorni dall’istante in cui mia figlia ed io fummo sbranate da un grosso cane su un prato a una manciata di metri dalla porta di casa a Comerio…la mia bambina aveva poco più di tre anni e gli altri due figli poco più di cinque.

Dicono che i traumi in tenera età segnino una vita intera, ma sto facendo quello che posso per garantire loro tutta l’assistenza psicologica che meritano. Stamattina ho assistito all’ennesimo slittamento di un udienza presso Il giudice di Pace. Quattro anni nel singhiozzante iter legale in cui ancora credo, quattro anni nel tritacarne delle assicurazioni che ti trattano come un numero e che mettono in saldo la mia vita e quella di mia figlia. Sì, in saldo caro medico Legale della controparte, che quella notte era presente in pronto soccorso e, che ha preferito far finta di non aver visto come fossi ridotta con la mia bambina, come può pensare che un evento cosi tremendo non segni la vita delle persone coinvolte, specie se minorenni? Il vicino che ci ha soccorse, Roberto, ad oggi ancora ha incubi che gli ricordano lo stato in cui ci ha trovate. Se lei non lo ricordasse potrebbe rispolverare l’iter fotografico del nostro percorso ricostruttivo effettuato provvidenzialmente dalla chirurgia Plastico  Ricostruttiva dell’Ospedale di Circolo, reparto a cui sarò eternamente grata. A testimonianza della necessità di mobilizzazione delle cicatrici sul cranio e sul viso trova anche il costante intervento della validissima osteopata Tecla Guarino che rende sopportabile la mia quotidianità.

Stamattina, su quella sedia blu, poco distante dall’Aula, la stessa sedia che ho già visto altre volte e che mi guarda con quello squarcio aperto come un ghigno beffardo, ho pensato a quel lontano Gennaio 2014, quando, con il corpo provato dai numerosi interventi, mi sono ritrovata davanti al Luogotenente Indelicato comandante del Reparto dei Carabinieri di Gavirate a rilasciare la mia prima deposizione. Chissà se si ricorda di me Signor Indelicato, io di lei mi ricordo benissimo della pace che ha saputo regalarmi parlando della bellezza della nostra amata Sicilia, riportando la mia mente fragile e compromessa alla bellezza dei ricordi della mia infanzia. Devo dire che è anche grazie a Lei che porto avanti a testa alta questa battaglia che pare infinita per avere giustizia. Quel giorno raccolse il primo verbale di quello che mi era accaduto, ripercorrendo passo per passo lo strazio e la paura di quel giorno tremendo.

Quel maledetto giorno sul prato di Comerio erano intervenuti l’Appuntato Marco Nardon e il suo Carabiniere Daniele Rizzo: li ricordo come fosse oggi, correvano e vedevo la striscia rossa dei pantaloni che arrivava verso di noi, i medici mi sedavano visto che ero ancora cosciente nonostante la dura lotta per sopravvivere appena affrontata. Li aveva mandati Lei per aiutarmi e ricordo bene che loro volevano fare di tutto per soccorrere me e mia figlia. Ecco, il concetto di Giustizia ha incominciato quel giorno a prendere forma nella mia mente perché sapevo che finalmente qualcuno ci avrebbe aiutati. A fine deposizione mi sono sentita sollevata e speranzosa e un po’ più ancorata alla realtà, avevo consegnato un pezzetto orribilmente ingiusto della mia vita in mano alla Legge. Lei mi aveva ascoltata e confortata, con semplicità e dignità e mi ha raccomandato di non perdere l’energia che mi aveva fatta sopravvivere. Non è andato tutto come immaginavamo Signor Indelicato, sono passate quattro estati sulle nostre vite ma siamo ancora fermi a quel giorno colmo di speranza. Io, mia figlia e i fratellini che hanno assistito a quel massacro meritiamo di avere una risposta dignitosa in questa Italia che si barcamena tra mille casi di cronaca impunita. Il cane corso che ci ha sbranate viene quotidianamente riabilitato presso il Distretto Veterinario di Cittiglio. Perché io ed i miei figli non possiamo avere la tutela che ci spetta? Stamattina il giudice di pace mi ha guardata negli occhi e ha chiesto a me e all’avvocato che mi supportava se fossi stata soddisfatta della data della mia futura e prima udienza…l’11 Gennaio 2018: non ho saputo cosa risponderle giudice Lo Re, perché mi sono ritrovata a sperare che l’udienza esistesse davvero e non slittasse ancora in un tempo infinito. Nei suoi occhi però ho visto uno sguardo umano e di grande compassione: sono riuscita solo a sussurrare un “Grazie” e glielo ripeto qui su questo foglio di carta perché, anche se tutti mi ripetono che sogno troppo e che devo accettare (accettare per me equivale a rassegnarmi) io le dico che ho deciso di lottare e prendere quella data come una nuova partenza.

Mi sono costituita parte civile nel procedimento Penale perché per me la parola fine di questa terribile parte della mia vita si scriverà solo in un’aula di tribunale, dove il nostro dolore avrà finalmente la voce e il peso che merita, e dove venga riconosciuto il lavoro dei medici che mi hanno rianimata e riportata alla vita, degli psicologi che tuttora ci assistono.

Meritiamo GIUSTIZIA e io continuerò a urlarlo visto che siamo tutti meravigliosamente VIVI.

Elisa Ballerio

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 20 Ottobre 2017
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  1. Avatar
    Scritto da Felice

    Mi sono venuti i brividi leggendo la sua lettera gentile sigra Ballerio.
    Prima di tutto mi sono stupito che il cane corso sia ancora in vita e venga pure riabilitato. Quel cane in un normale paese civile sarebbe stato ucciso tramite iniezione letale o gas in quanto pericoloso. Addirittura in certi paesi più evoluti del nostro certe razze di cane sono bandite.
    Quanti soldi si sono spesi in questi anni per mantenere in vita e riabilitare inutilmente un semplice animale? Se penso solo a questo mi sembra di vivere un controsenso.

    Poi penso a sua figlia e al calvario che ha dovuto subire. Penso alle lesioni di sua figlia e mi domando se da un’altra parte, in una società più giusta e razionale dove conta maggiormente la vita di un essere umano e non di un cane, penso se in questa ipotetica società quanto tempo sarebbe trascorso per dare a sua figlia quello che le era dovuto, ovverosia giustizia. Settimane, mesi ma non anni. Quello no.

    Giustizia che non si sarebbe limitata alla doverosa se non che immediata soppressione dell’animale ma che sarebbe continuata nel far corrispondere al proprietario dell’animale (pericoloso) tutte le responsabilità civili e penali che lui non ha saputo salvaguardare facendo scagliare a tutti gli effetti un’arma carica contro la sua bambina.

    Perché il non dare giustizia in tempi rapidi ad un tale sfregio nella vita di una bambina allora mi fa pensare che il normale senso delle cose si sia ribaltato. L’impuntà vige e il nostro buonismo ipocrita che prima eravamo pronti ad usare su noi stessi sembra abbia spontaneamente cambiato bersaglio puntando direttamente verso gli animali di compagnia più “alla moda”, cani, gatti et simila.
    Il non dare giustizia ad un fatto così grave in tempi umanamente e moralmente accettabili vuol dire non attribuirgli una gravità e questo a mio avviso è un secondo attacco alla dignità sua e di sua figlia.

    Personalmente non vorrei vivere in uno Stato del genere e in un società formata da persone del genere. Un esercito di giustizionalisti con tutti tranne che con loro stessi.

    Signora io (come tanti altri) vorremmo esserle utile anche facendo pressioni nel caso il processo dovesse subire ulteriori rinvii. Non è accanimento il nostro ma come ha scritto lei è chiedere, anzi, pretendere giustizia verso un fatto che innegabilmente ha radicalmente pregiudicato una vita normale di due persone, di cui una ancora bambina.

    Lei chiedo la cortesia di tenerci aggiornati della sua vicenda anche dopo la conclusione del processo. La dignità di un modello sociale si misura anche sui tempi di risposta di fronte a fatti come questi.
    E mentre di dignità da parte sua ne abbiamo ricevuta una quantità tale da farci provare un po’ di vergogna, dall’altra parte di dignità ad oggi non se n’è vista molta.

    Le auguro ogni bene e soprattuto di ottenere giustizia.
    Cordiali Saluti
    Felice Griffi

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