Lidia Macchi, lettera anonima accusa prete
Scontro sull'ennesima missiva, arrivata questa volta ai difensori dell'imputato
Un nuovo colpo di scena, a Varese, durante il processo a Stefano Binda, l’uomo accusato di essere l’assassino della povera Lidia Macchi.
Una lettera anonima, il 3 novembre, è stata recapitata nello studio di uno dei due difensori di Binda, l’avvocato Patrizia Esposito; la missiva, firmata “G.Bianchi”, ma in realtà anonima, è stata scritta con un normografo, e chiede all’avvocato Esposito di effettuare delle indagini sulla figura di don Antonio Costabile, il sacerdote che nel 1987 fu sospettato di essere coinvolto nella vicenda.
Il prete, nell’inchiesta della procura generale di Milano, è stato indagato e la sua posizione archiviata, nel 2014.
Gli avvocati della difesa, Esposito e Sergio Martelli, hanno riferito in aula di aver protocollato la lettera e di averla messa a disposizione della corte. Il contenuto della lettera è stato accennato, in aula, dall’avvocato di parte civile Daniele Pizzi: “Questa lettera calunnia gravemente don Antonio Costabile – ha affermato – se c’è qualcosa che non si può imputare al pm Abate è quella di aver attenzionato a 360 gradi in quell’epoca don Antonio. Il suo alibi non fu scalfito. Questo anonimo, come può definirsi un amico di Lidia? Di questo nome, G.Bianchi, non vi è traccia in nessun quaderno o agenda di Lidia. Con quali prove e su quali basi scrive che a don Antonio piacevano le ragazze?”.
(la corte d’assise)
La lettera però ha creato un momento di tensione tra accusa e difesa. La procuratrice generale Gemma Gualdi ha affermato che la trasmissione alla corte della lettera è stato un “ingresso surrettizio di uno scritto anonimo nel processo” e ancora “un atto scenico, subliminale”. Dunque ne ha chiesto la esclusione dagli atti processuali e ha addirittura chiesto che si potesse procedere per il reato di depistaggio.
Gli avvocati della difesa hanno contrattaccato e bollato come offensive le parole della procuratrice, ribadendo che la scelta di protocollare la lettera è stata solo per trasparenza. La corte ha deciso di non considerare la lettera tra i documenti processuali e l’ha trasmessa alla procura di Varese affinché valuti eventuali reati.
Martelli ed Esposto hanno inoltre eccepito su alcuni particolari emersi nelle scorse sedute. Uno in particolare va rimarcato. In un’udienza precedente l’accusa aveva citato un’agenda di Lidia Macchi in cui compariva il nome di Stefano Binda associato a un numero di telefono (nella foto in alto). Per l’accusa è un’altra delle prove che i due ragazzi si frequentavano. Per la difesa, invece, è la prova che i due giovani non si sentivano mai, poiché il numero segnato sull’agenda è sbagliato.
Stefano Binda ha preso la parola, in aula, per specificare che lui non ha mai avuto quel numero di telefono nell’abitazione di Brebbia.
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mai avuto dubbi, in carcere vi é un poverino con problemi psichici, la chiesa a suo tempo per prima cosa allontanò il sacerdote, perché?