Una scrittura fatta di colori

La riflessione di Antonio Maria Pecchini intorno alla mostra di Jack Kerouac al Museo Maga

Arte - Mostre

Continua al Museo Maga di Gallarate e con buona affluenza di pubblico, l’esposizione dei lavori pittorici realizzati dallo scrittore americano Jack Kerouac, considerato il padre del Movimento della Beat Generation.

La rassegna è integrata da una serie di appuntamenti, incontri, filmati, programmati settimanalmente sino al 22 aprile del 2018, a completamento, informativo e culturale, dei diversi aspetti della Beat Generation. L’esposizione gallaratese si apre con un omaggio, inedito e preziosissimo, del grande regista e artista britannico Peter Greenaway, dedicato a “On the Road” libro che ha reso famoso internazionalmente Kerouac e la Beat Generation.

Movimento artistico/ letterario che attorno agli anni cinquanta si pose il problema di innovare il mondo espressivo americano (successivamente anche quello internazionale), attraverso una visione dell’arte, della musica, della letteratura nella totale libertà espressiva e nel rifiuto d’ogni barriera. Un ambiente artistico/letterario in fuga da sé stesso, dalla storia, alla ricerca di un mondo primitivo, selvaggio, perché è nella primitività dell’essere che è rintracciabile l’inizio di ogni possibile creazione, perché è dentro la dimensione umana originaria la possibilità di trovare l’impulso creativo per continue trasformazioni.

Ecco allora che Kerouac alla bravura letteraria, tutta tesa a perseguire nei suoi romanzi la dimensione sorgiva dell’essere umano nel continuo cammino dell’esistenza, affianca un altro bisogno creativo dedicandosi anche alla pittura e l’esposizione gallaratese ne è un esempio. Certo, in questo campo parallelo alla scrittura, non è e non diventa un primo attore, ma, anche in questo campo sa esplorare con identica tensione emotiva e con attenzione le motivazioni e le ricerche già in atto nell’Action Painting americano o Espressionismo Astratto in cui, negate ogni possibilità comunicative e la dimensione naturalistica della pittura, il terreno pittorico si fa solo espressione di un linguaggio segnico, gestuale, cromatico, unendo a doppio binario, l’unitarietà che sussiste tra le dinamiche dell’arte e quelle della vita. Kerouac elabora così una pittura costruita attraverso un diversificato senso del colore, annulla ogni regola compositiva propria della prospettiva così che colori e segni s’accampano, in tutta la loro dimensione di libertà, nello spazio limitato della tela, e gli elementi cromatici, nel legarsi tra loro, costruiscono una pittura piuttosto “anarchica”, nella sostanza.

Se nella scrittura la narrazione altro non è se non una dimensione necessaria alla vita, costruita e vissuta in prima persona e in funzione dei propri sogni esistenziali, il segno pittorico, nel processo creativo del quadro, si fa azione, reinvenzione, atto vitale del proprio stato primario, costruito attraverso una ritmicità analoga alle scansioni della musica jazz che non per niente affianca, in spirito, la vita di Kerouac e dei tanti compagni d’avventura della Beat Generation.

L’esposizione mette anche in evidenza quanto l’intero movimento, pur nel bisogno di sottostare ai veloci cambiamenti dettati dalla quotidianità delle cose, sottostà ad un piano culturale più complesso, fuori da possibili classificazioni, con caratteristiche espressive popolari, dove corpo e sostanza uniscono esigenze culturali proprie d’ una visione esistenziale della vita, vissuta come viaggio e, allo stesso tempo, propongono un progetto culturale capace di mostrare tensioni esistenziali protese verso un bisogno di infinito.

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Pubblicato il 16 Febbraio 2018
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