Zamberletti: “Io e Aldo Moro” il racconto di quegli anni

Giuseppe Zamberletti racconta il suo rapporto con Aldo Moro: dalla frequentazione quotidiana come sottosegretario, alla gestione del terremoto del Friuli, fino al tragico epilogo del suo rapimento

Avarie

Giuseppe Zamberletti, varesino, 84 anni, parlamentare per quasi 26, più volte ministro, due volte sottosegretario in governi presieduti da Aldo Moro, è uno dei varesini che più può raccontare da vicino la figura dello statista.

Oggi, 9 maggio 2018, a quarant’anni dal ritrovamento in una Renault 4 del corpo del grande leader democristiano, abbiamo provato a chiedergli un ricordo del grande statista morto tragicamente, partendo dagli anni in cui lavorarono piu strettamente. «Abbiamo avuto anni di lavoro comune, molto intensi e per me importantissimi – ha esordito Zamberletti – soprattutto nell’insegnamento che ho ricevuto da lui, come leader politico ma soprattutto come persona di grande umanità»

Il suo primo rapporto stretto con Moro Zamberletti lo ebbe da sottosegretario, nel 1976: «Sono stato sottosegretario quando il ministro dell’interno era Luigi Gui. Gui, ad un certo punto della legislatura, si dimise e Aldo Moro, che in quel momento era il presidente del consiglio, prese per diversi mesi su di sè l’interim: diventai così il suo diretto referente».

Questo significava avere rapporti strettissimi: «Lui stava a palazzo Chigi, e io tutte le mattine avevo il compito di portargli le informazioni aggiornate: erano anni in cui i problemi erano quotidiani, gli anni terribili in cui si sviluppava il terrorismo, il ’68 aveva lasciato pesanti conseguenze nella stabilità dei governi e delle piazze. A questo però si aggiunse il terremoto del Friuli: una tragedia con quasi mille morti».

IN FRIULI A GESTIRE IL TERREMOTO

Il 6 maggio 1976 Moro andò personalmente in Friuli per verificare sul territorio la situazione: a quell’epoca non c’era la rete informativa di oggi, capillare e instantanea. L’unico sistema per informarsi davvero e in fretta era andare sul posto. «Appena si rese conto della situazione mi telefonò: “Zamberletti, le direi di venire qui, ho bisogno che organizzi da qui l’emergenza”. Non ebbi molto tempo per pensare: presi un aereo da un aeroporto militare, senza nemmeno farmi una valigia e raggiunsi Moro in Friuli. Lì lui mi spiegò: “Prendi in mano tu la situazione”. E mi firmò un’ordinanza che mi diede poteri totali, ratificata subito dopo in Parlamento»

Avarie
Zamberletti nei luoghi terremotati

Una ratifica che vide consenso unanime: della maggioranza ma anche dell’opposizione, quando uno dei principali leader era Enrico Berlinguer. «Dopo la nomina i rapporti tra me e lui si intensificarono ancora di più, anche se erano per lo piu telefonici. Ma più volte è venuto lui in Friuli, nella Prefettura dove avevo base,  per verificare come andassero le cose, ascoltare e dare suggerimenti».

Le telefonate erano proprio di prima mattina: «Prima delle sette mi chiamava per sapere come stava andando, e non mancavano indicazioni o battute spiritose. Un giorno mi disse: “ ho visto che c’è stato un caso di tifo nella tendopoli a Majano”, gli risposi che si, era vero, ma che l’avevamo già individuato e che era un caso isolato. Ma lui, ben conscio del fatto che nel frattempo era iniziata la campagna elettorale: “Bene, Zamberletti, ma ricordati che in campagna elettorale un caso di tifo per la stampa diventa un’epidemia di colera” ».

In quella campagna elettorale, a dire il vero, «Ero candidato anch’io, a Varese – spiega Zamberletti – Ed erano i tempi in cui c’erano le preferenze e bisognava guadagnarsele, non come adesso che è tutto blindato. Io invece ero sempre nell’ufficio della prefettura friulana a coordinare. Un giorno gli dissi: “Sa, io sono candidato a Varese, ma non riesco nemmeno a farmi vedere, posso andarci qualche volta?” In realtà, lui che era attentissimo a ogni particolare e si era preoccupato di mantenere la normalità anche nelle tendopoli, facendomi predisporre un seggio elettorale, voleva che facessi vigilanza sul posto e quindi non voleva che me ne andassi. Fu spiritoso, nel darmi quest’ordine: “Stai tranquillo per le tue elezioni, alla peggio ti faremo senatore a vita. Però da qui non ti muovi”. Fortunatamente, i varesini riconobbero ugualmente il mio lavoro, e fui eletto».

Zamberletti dopo il terremoto del Friuli prese una decisione difficile: si dimise. «Un sindaco friulano venne arrestato per una tangente legata al terremoto, e io per questo mi dimisi dal Governo: il motivo era che avevo promesso di rispondere di ogni cosa fosse successa in Friuli, quindi non solo dei miei errori, ma anche di quelli altrui. Successe ad agosto del 1977, Moro era in Trentino in vacanza. Per dimettermi io andai da Giulio Andreotti, che nel frattempo era diventato presidente del Consiglio. Lui non voleva saperne delle mie dimissioni, e chiese aiuto per respingerle ad Aldo Moro, che era ancora presidente della Democrazia Cristiana. Cosi mi chiamò, ed ebbi con lui la telefonata piu lunga della mia vita: mi spiegò che stavo facevo passare in maniera esagerata il principio di responsabilità oggettiva, mi citò anche il ministro Lattanzio (in quel momento ministro della difesa, ndr), su cui ricadeva la responsabilità della fuga di Kappler, il criminale nazista fuggito dall’ospedale romano dove era ricoverato: “Così metti in difficoltà anche lui” io però insistetti nelle mie dimissioni. Qualche tempo dopo, tra l’altro poco prima del suo sequestro, eravamo in parlamento e lui mi chiamò dal suo banco alla Camera. Mi disse: “ho visto, alla luce dei commenti e alla popolarità che hai fatto acquisire a te e al partito, che avevi ragione tu: hai fatto bene”».

MORO, UNO CHE GUARDAVA I PARTICOLARI

«Aldo Moro era una persona attenta ai particolari, anche se non sembrava – Spiega Zamberletti – Stava attento alle piccole informazioni, anche sulle cose minute esercitava grandi attenzioni non astratte, ma concrete. La gente lo scambiava per uno che volava troppo alto, ma invece era l’esatto contrario».

Da politico: «Ho un ricordo vivido di un suo intervento, che mi è tornato in mente in questi giorni. Fece un grande discorso, in un momento in cui la DC faceva grande fatica a dialogare con socialisti e comunisti: erano i tempi in cui i democristiani erano ferocemente anticomunisti, e l’idea di dialogare con quella sinistra sembrava impensabile. La frase chiave di quel discorso fu: “Il compito di un grande partito è di associarsi, dialogare e  guidare”. Con queste parole riuscì a convincere una platea straordinariamente riluttante. Si trattò di un discorso a cui ho ripensato anche oggi, perché è straordinariamente attuale: anche chi è più importante ha il dovere dell’attenzione al dialogo e alla comprensione degli altri».

I GIORNI TRAGICI DEL RAPIMENTO

«Del rapimento lo seppi subito: stavo andando alla Camera per il dibattito sulla fiducia, mi arrivò una telefonata dal Viminale che mi annunciava il suo sequestro. Quando poi sono arrivato a Montecitorio c’era grande agitazione, ma soprattutto un clima di sconcerto e di incredulità. Fino alla fine abbiamo avuto la speranza di una soluzione positiva: ci sembrava impossibile che si potesse arrivare a tanto, uccidere un uomo popolare e amato, contro cui non si sviluppavano mai polemiche. Quando poi, il 9 maggio, arrivò la notizia, fu uno schiaffo terribile per tutti».

Aldo Moro
Il tragico momento del ritrovamento

«Nel periodo del sequestro io non ero al governo, ma tutti i giorni mi relazionavo con Cossiga. Un giorno lui mi chiamò e mi disse “C’è un possibile contatto con le BR, te la senti, se questo contatto diventasse concreto,di andare a trattare, insieme al colonnello Varisco?” dissi di si, sarei stato disponibile a fare qualunque cosa per Aldo Moro. Ma quella pista svanì, restammo fino all’ultimo ad aspettare che quella lampada potesse accendersi, ma non successe».

Furono anni difficilissimi per la politica, addirittura tragici, terribili da dominare, «Erano anni veramente angosciosi: ma allora la classe politica aveva un grande senso della responsabilità. Non so se questa classe politica avrebbe potuto fare lo stesso»

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 09 Maggio 2018
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