«Pagami o diffondo il video mentre fai pipì», ma non era vero: assolta
La procura chiede l’assoluzione perché il fatto non sussiste: «Manca la prova»
«La credibilità della persona offesa, o c’è o non c’è». La frase, pronunciata in aula dal pubblico ministero, non fa una grinza. E alla fine il giudice gli ha creduto, poiché la stessa pubblica accusa chiese l’associazione per la donna, imputata per un reato non da poco: estorsione.
Il caso è finito di fronte al giudice monocratico di Varese nei giorni scorsi. Le parti in causa sono due: lui, classe 1927, italiano e benestante. Lei, africana del Senegal di 55 anni e di professione badante.
Accadde che l’anziano ben sette anni fa si presentò dalle forze dell’ordine per denunciare un fatto grave, parlò di essere stato vittima di un ricatto.
La donna, allora badante di una persona allettata nella stessa stanza dove era ricoverata la moglie del signore – secondo quanto sostenuto dall’uomo – lo avrebbe ripreso col cellulare durante una minzione nel bagno d’ospedale, minacciandolo di divulgare il filmato in rete.
Il prezzo, per la mancata pubblicazione sui social del video, sarebbe stato di 2500 euro, più un profumo.
Parte la denuncia, e la notizia di reato arriva sul tavolo della procura, che indaga, ma nulla trova: non c’è traccia di un prelievo di sondi in contanti dalla banca in quel periodo. Né vi è traccia di alcuna dazione di danaro.
Una vittoria per l’avvocato difensore della donna, Massimo De Luca: «È probabile che i rapporti intercorrenti fra i due fossero di altra natura», ha spiegato il legale specificando che «è mancata la prova del passaggio di danaro: ai tempi, nonostante i fatti si riferissero al 2012, già tutte le operazioni di banca erano digitalizzate. E quel prelievo allo sportello, quel giorno, non venne fatto».
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