Quando la casa di Bossi era un “covo” della Prima Repubblica
Il "Senatùr" acquistò la villa dalla famiglia Castelli ma in quelle stanze - nel 1970 - prese vita uno storico accordo tra i militanti di DC e PSI avversato dalle segreterie provinciali
Dai summit carbonari del centrosinistra del paese, anche se allora non si chiamava così, alle sfarzose riunioni del centrodestra nazionale, con i Berlusconi e i Tremonti pronti a raggiungere Gemonio per discutere, accordarsi, pranzare alla tavola di Umberto Bossi e del suo cerchio magico, negli anni in cui l’asse Forza Italia-Lega aveva in mano le sorti del Paese.
È curiosa la parabola della villa di via Verbano, diventata famosa per essere la residenza del Senatùr e oggi messa in vendita per 430mila euro, come raccontiamo in questo articolo di VareseNews. Il fondatore della Lega Lombarda acquistò lo stabile nel 1988 per una cifra di circa 200milioni di lire e si trasferì a Gemonio l’anno seguente dopo che vennero portati a termine i lavori di ristrutturazione diretti dall’architetto Giuseppe Leoni, fedelissimo del Carroccio e primo parlamentare insieme a Bossi della – allora – nuova forza politica.
Bossi acquisì la casa dai Castelli, industriali gemoniesi molto noti nel ramo dei formaggi, e la trattativa fu gestita dall’ex sindaco del paese, l’ingegner Francesco Rosaspina che si occupava di governare i beni della famiglia Castelli. Poco prima di essere venduta al burbero uomo politico in ascesa, la casa era abitata in affitto (nei due piani più alti) da Guelfo Ravani, democristiano e braccio destro di Antonio Franzetti (sindaco del paese tra l’85 e il 2004), e curiosamente avversario politico dello stesso Rosaspina.
Proprio la presenza di Ravani e la disponibilità di locali piuttosto ampi, fece in modo che nel 1970 l’attuale Villa Bossi fece da culla di un accordo destinato a destare scalpore a livello zonale. Democristiani e socialisti del luogo, infatti, si riunirono tra quelle mura per definire la lista che portò una sorta di centrosinistra guidata da Andrea Comolli a vincere – a sorpresa – le elezioni comunali. «Le segreterie provinciali si imbufalirono: pensare allora a un’alleanza che comprendeva DC e PSI era fumo negli occhi, e così l’esperienza durò appena cinque anni» ricorda oggi Ravani, anche se nel 1985 si palesò una situazione simile (addirittura con anche il PCI) che portò al primo mandato da sindaco per il già citato Franzetti, con una vittoria maturata per appena quattro voti. Storie di politica locale, dal sapore di quella Prima Repubblica che anche grazie a certe “bordate” sparate dal Senatùr iniziò il proprio declino.
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