“Il surriscaldamento è certo, ma non sappiamo come reagirà il Pianeta”

Il professor Guglielmin, docente dell'Insubria, è uno dei massimi esperti mondiali di permafrost. Il suo appello: "Mancano i fondi per studiare cosa sta avvenendo sulla crosta terrestre e marina"

Mauro Guglielmin

« Anche io sono preoccupato. Lo scioglimento dei ghiacciai è sotto gli occhi di tutti, regrediscono e si coprono di detriti. Anche il permafrost sta scomparendo e questo è un fenomeno che non si vede, ma è ugualmente critico. L’allarme, per esempio, è nelle zone artiche della Siberia dove è elevato il rischio che si liberino grandi quantità di metano attualmente congelato. Il fenomeno porterà a un ulteriore surriscaldamento».

Anche all’Università dell’Insubria il professor Mauro Guglielmin, punto di riferimento mondiale per lo studio del permafrost ( il ghiaccio formatosi sotto la roccia a diverse profondità) : « Una rete di scienziati internazionali, di cui faccio parte, ha di recente pubblicato uno studio con tutti i dati attualmente disponibili dello stato di conservazione del permafrost in diverse zone del pianeta: Ande, Alpi, Tibet, Poli Nord e Sud, ecc – spiega il docente di geologia – ovunque emerge la tendenza allo scioglimento. Certo, con ritmi differenti a seconda delle zone, ma è certo che l’effetto sarà quello di liberare nell’aria gas come metano e anidride carbonica».

Quale sarà la portata di questo effetto?
« Questa è la nota dolente. Oggi sono davvero pochissime le stazioni di rilevamento di questi dati. Sappiamo molto dell’inquinamento dell’aria ma quasi nulla degli effetti che questo avrà sulla crosta terrestre e, ancora di più, su quella marina. Mancano i fondi per avviare ricerche così da poter prevedere gli sviluppi a cui si va incontro»

Intanto, già a casa nostra, cominciamo a vedere gli effetti dello scioglimento del permafrost sulle Alpi.
« La notizia di questi giorni è quella del ghiacciaio del Monte Bianco ma, per tutta l’estate si sono registrati crolli sullo Stelvio, per esempio. Noi, come equipe dell’Insubria, abbiamo nel Parco una stazione di rilevamento e monitoriamo l’andamento. Gli sviluppi legati allo scioglimento non sono immediati: se parliamo di strati superficiali, allora le conseguenze sono quasi istantanee, basta un violento acquazzone che la montagna perde pezzi. Il fenomeno più preoccupante, però, avviene in profondità: le conseguenze non sono contestuali ma potranno capitare in futuro, tra due o tre anni. Nell’ultimo decennio c’è stata una grossa perdita di permafrost: prima lo si trovava stabilmente attorno ai 2500 metri d’altezza, oggi dobbiamo salire a 2700. Lo Stelvio ha registrato parecchie colate detritiche: io, a essere sincero, mi aspettavo maggiori fenomeni di smottamenti, un po’ come successe nell’estate torrida del 2003 quando venne interessato soprattutto il Cervino. Ma, temo, sia solo questione di tempo».

Mauro Guglielmin

Il professor Guglielmin ( nella foto sopra) monitora la situazione soprattutto in alta Valtellina: oltre allo Stelvio c’è una stazione sul passo del Foscagno mentre quella in Val Pola è stata distrutta da un atto vandalico e non ci sono fondi per riattivarla: « Collaboro anche con Arpa Piemonte che ha stazioni nel Cuneese e in Valsesia e poi una stazione sul Cervino. L’equipe che dirigo all’Insubria, inoltre, ha la più grande rete di rilevazione al mondo in Antartide dove lavoro con diversi stati stranieri. La mia rete, però, è costituita da 5 punti di rilevamento: solo cinque su una superficie di 40.000 chilometri quadrati ( il permafrost non si trova ovunque al Polo Sud) »

Gli studiosi dell’Insubria hanno di recente avviato anche una ricerca nelle isole Svalbard: « Siamo già in ritardo per tante cose. Ma se effettivamente si iniziasse a invertire la rotta, potremmo tornare ad innescare dinamiche naturali e non fatte dall’uomo. Certo, questa è un’affermazione condivisa dall’Ipcc, ma che si basa su modelli costruiti con pochissimi dati scientifici rigorosi. Non sappiamo molto di come stia reagendo il Pianeta. Le dinamiche atmosferiche sono chiare ma, dal punto di vista delle superfici terrestre e marina, i dati sono molto pochi. Inoltre, i campionamenti non sono uniformi: in certi luoghi c’è molto, in altri nulla.  Dal mio osservatorio personale in Antartide, però, posso dire che si stanno scaldando zone che fino a pochi anni fa erano in raffreddamento mentre ci sono parti che hanno invertito il processo e da calde si stanno nuovamente raffreddando. Il riscaldamento, quindi, non è globale ma oggi le zone in surriscaldamento sono estese e localizzate quasi ovunque. Questo deve per forza allarmare tutti. D’altra parte, non è possibile immaginare una crescita continua, perché le risorse della nostra Terra non sono infinite e vanno verso l’esaurimento. E quando saranno finite, questo sistema sparirà».

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

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Pubblicato il 26 Settembre 2019
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