Maltrattamenti in prima elementare, maestra a processo

La donna dopo quarant’anni di insegnamento esonerata dalle lezioni pochi mesi prima della pensione. Genitori in aula invocano le telecamere

Avarie

Un bambino di sei anni che arriva a casa bagnato di pipì dopo le lezioni, la mamma chiede cosa sia accaduto e la risposta è: «È stata la maestra, che non mi lascia andare in bagno».

Ancora, racconti di metodi di insegnamento duri, rudi, al limite: «Oca», «stupido», qualche scapaccione e altri atteggiamenti che hanno spinto una mamma a confrontarsi con un’altra insegnante della scuola per poi fare un esposto ai carabinieri.

Scuola che è una primaria di un paesino dell’Alto Varesotto, giusto non citare per evitare l’insana ed eccessiva attenzione “social“ e mediatica ad una situazione borderline sia per i più piccoli – nostra prima preoccupazione – sia per la persona che è sotto processo accusata, e non condannata.

Ma a guardare i volti un po’ frastornati dei genitori di quella classe non avvezzi a tempi, forme e luoghi della giustizia, c’è da sperare che la verità, nel bene o nel male in questo processo come in tutti quelli per maltrattamenti su minori, venga a galla.

Le parti offese sono tutti i bambini della classe, una dozzina di piccoli nati nel 2012, tre dei quali sentiti durante le indagini seguite all’esposto di una delle mamme oggi in tribunale in ambiente protetto.

Una pratica che si utilizza comunemente, ma a patto che venga garantita una forma specifica in grado di garantire tutte le parti processuali attraverso lo strumento dell’incidente probatorio, cioè un espediente giudiziale per cristallizzare elementi da valutare come prove prima dell’inizio del processo.

Questo, dagli atti e soprattutto dalle eccezioni mostrate dall’avvocato difensore della maestra Alberto Zanzi, non è stato fatto. Dovranno così venir risentiti probabilmente anche quei tre bimbi già escussi un anno fa ai tempi delle indagini, oltre ad altri compagni di classe: tutto naturalmente a porte chiuse e lontano dai tempi della cronaca. Dovranno venir sentiti anche alcuni genitori, la dirigente scolastica e l’insegnante di sostegno, oltre al personale della scuola – le bidelle – chiamate dalla difesa.

Una sola delle famiglie coinvolte si è costituita parte civile.

Il rito è immediato, cioè dopo le indagini svolte dai militari – ma prive di attività tecnica come videocamere o microspie spesso in questi casi impiegate (la foto è di repertorio) – il pubblico ministero ha chiesto e ottenuto la celebrazione del processo senza pagare dall’udienza preliminare, “filtro“ che pone le parti dinanzi a un primo giudice che ha il compito di giudicare se il processo va celebrato o meno.

Prossimo appuntamento, nel quale verrà sentita dirigente scolastica, insegnante di sostengo e il luogotenente dei carabinieri che ha coordinato le indagini, è previsto per il 12 marzo.

I genitori hanno seguito la prima udienza a bocche cucite e sguardi sbarrati: in aula c’era l’insegnante, e i commenti sono stati rivolti soprattutto alla necessità di dotare gli istituti scolastici e di cura di telecamere, annosa e scottante questione che ha trovato legna da ardere nel Varesotto con già due casi – ma in nidi e scuole per l’infanzia – dopo le indagini dell’asilo di Gavirate nella primavera del 2018 e in quella recentissima di Cocquio Trevisago.

«Telecamere che servirebbero non solo a tutelare gli alunni, ma anche professori e maestri dalle accuse», ha affermato uno dei genitori in aula a margine dell’udienza.

L’insegnante imputata è ora in pensione e venne l’anno scorso sottoposta a provvedimento di sospensione dalla professione per gli ultimi mesi della sua quarantennale carriera, nella primavera del 2019. 

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 06 Febbraio 2020
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