26 aprile 1945, sull’autostrada l’ultimo scontro per la libertà di Saronno

Fu l'ultimo capitolo della Resistenza nella zona. Nel 1944-45 la città aveva visto scioperi, deportazioni e morti: la lotta dei saronnesi per la democrazia e la pace

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La Liberazione arrivò nel giro di due giorni, a Saronno e dintorni. Ma proprio in quei giorni di insurrezione popolare le forze partigiane pagarono il prezzo più alto, in un agguato al cavalcavia dell’Autostrada dei Laghi, tra Saronno e Uboldo.
Dieci morti, uccisi a tradimento e proprio quando la città sperava già di aver evitato ulteriori distruzioni e lutti.

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Il 25 aprile 1945 a Saronno 4 di 5

A Saronno la Resistenza è stata fatta da tanti. Dai partigiani (la maggior parte organizzati nella 183a Brigata Garibaldi), ma anche da centinaia di operai, da civili che collaboravano.

Già nel 1944 nelle fabbriche saronnesi – soprattutto quelle più grandi – gli operai avevano scioperato pagando un prezzo altissimo: dopo lo sciopero dell’1-2 marzo alcuni (come Pietro Bastanzetti, Giuseppe Fustigelli, il cislaghese Innocente Donzelli) furono deportati nei lager in Germania e morirono di stenti, dopo settimane o mesi di sofferenze. A tutti gli scioperanti furono sospesi i viveri.

Pagarono anche altri civili considerati, a torto o a ragione, fiancheggiatori degli scioperi: il 3 marzo  i fascisti della Guardia Nazionale Repubblicana arrestarono l’edicolante Luigi Caronni. I fascisti spararono anche all’impazzata nelle piazze e in quell’occasione, il 3 marzo fu ucciso Giovanni Gioia, che aveva un figlio partigiano (si parlò di un errore, ma forse Gioia non fu vittima del caso).

Nel 1945 la repressione costò la vita al partigiano Carlo Franchi di Cislago, ucciso a Rovello il 20 febbraio, mentre i partigiani risposero colpendo la Brigata Nera (fu ucciso il vicecomandante) e la caserma della Guardia. Quando mancavano ormai pochi giorni alla fine del conflitto, il 14 aprile le Brigate Nere uccisero un 29enne, tale Luigi Robbiani, che aveva a colpa di girare in bici dopo le 20: il suo funerale, il 17 aprile, si trasformò in una grande manifestazione con migliaia di operai tra la piazza (nella foto sotto), le vie circostanti, le fabbriche.

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Soprattutto tra gli operai c’era molta rabbia e a fare da paciere intervenne, già in quelle ultime settimane di dittatura, il prevosto monsignor Antonio Benetti. Si moltiplicarono anche gli scioperi spontanei, come forma di ribellione alla dittatura, alla fame e alle sofferenze della guerra.

Il 25 aprile, nelle prime ore del mattino, si accese subito “il moto popolare dei patrioti”, come lo definiva nel Liber Chronicus della parrocchia monsignor Benetti. Il primo giorno sembrò tranquillo: “Tutto si svolge in modo pacifico, senza spargimento di sangue e senza maltrattamenti degli arrestati”, annotava monsignor Benetti. “Il tutto è regolato dal Comitato d’azione costituito dai partiti risorti – Comunista, Democrazia Cristiana, Partito d’Azione Federalista. Colore prevalente: il rosso”. 

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I partigiani intorno al carro armato: al centro c’è anche monsignor Benetti

I partigiani della 183ema Brigata Garibaldi fermarono un carro armato nemico e presidiarono l’ingresso in città, la 208° Brigata Matteotti (d’impronta socialista) aumentò i suoi organici. Dalla Cemsa e dalla Isotta Fraschini arrivarono nuove armi.

La tragedia era però in agguato: la direttrice Milano-Como era divenuta infatti importante per la ritirata dei tedeschi ma soprattutto per i fascisti che volevano concentrarsi nel “ridotto di Valtellina” o – più prosaicamente – fuggire in Svizzera. La sera del 25 aprile sull’Autolaghi passò la colonna con Benito Mussolini, che tra l’altro appena prima di Saronno – a Garbagnate – lasciò un veicolo in panne, che forse trasportava documenti preziosi (finirono probabilmente in Vaticano, per ragioni mai ben chiarite).

La mattina del 26 fu avvistata una nuova colonna fascista. Le brigate partigiani di Milano non avevano ancora il controllo della città, su Milano stavano convergendo migliaia e migliaia di tedeschi dall’Ossola, da Torino, dal Basso Piemonte. I partigiani saronnesi – anche se la città era libera – non potevano sottrarsi al dovere di fermare il nemico in movimento.

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Il tracciato dell’autostrada tra Uboldo e Saronno

 La colonna fascista si fermò vicino al doppio cavalcavia nella campagna tra Uboldo e Saronno. Iniziò la trattativa: il tempo era a favore dei partigiani: ogni ora che passava il cerchio su Milano si stringeva sempre di più. Alla fine proprio con la mediazione del prevosto si arrivò all’accordo e la colonna fascista ottenne di poter ripartire, in un clima comunque molto teso. Fu a questo punto che però i fascisti aprirono il fuoco sui partigiani, uccidendo dieci ragazzi: Pietro Borella, Bruno Ferrario, Francesco Lattuada, Angelo Pagani di Mozzate, Mario Paleardi erano della 208a Brigata Matteotti; Gaetano Codari, Luigi Fusi, Luigi Gelati, Francesco Lucini erano della 183a Brigata Garibaldi; Costante Caselli morì alcune settimane dopo. Nel conflitto a fuoco i fascisti della Legione Autonoma Muti ebbero invece tre morti.

L’eccidio dell’autostrada scatenò anche la rabbia. Sindaco di Saronno era stato nominato Agostino Vanelli, il medico che aveva fatto la guerra partigiana in Ossola con le Brigate Garibaldi: la mediazione di monsignor Benetti e la saggezza dei membri del Comitato di Liberazione Nazionale limitarono le condanne, la scamparono alcuni capi fascisti (tra cui un sacerdote segretario provinciale dei Balilla, nascosto da Benetti), a differenza dei soldati rimasti soli. Era comunque un periodo agitato: ci furono dei morti nelle rese dei conti, qualche antifascista fu vittima di agguati successivi, forse per vendetta dei fascisti rimasti.

25 aprile 1945 Saronno
Agostino Vanelli entra a Saronno

Da maggio i preti e l’Unitalsi del Saronnese si diedero il cambio ogni due settimane per andare a Bolzano alla ricerca dei concittadini della zona che erano stati deportati.
Desiderio Bettinelli (futuro vicesindaco della città) partecipò anche ad una spedizione che si avventurò fino alla Baviera per soccorrere gli italiani “schiavi di Hitler”.
Alcuni dei deportati avevano ceduto proprio quando – loro non lo sapevano – la fine della guerra era vicina: il 23 aprile era morto a Mauthausen Luigi Caronni, il 26 morì il gallaratese, operaio a Saronno, Luigi Bardelli.

Fu l’epilogo della guerra di Liberazione, che aveva unito partigiani in armi, operai in sciopero, semplici civili che facevano sentire la loro voce. Contro la dittatura, per la democrazia e la pace. 

 

Tra le fonti:
Giuseppe Nigro, Fuori dall’officina. La Resistenza nel Saronnese
Daniele Premoli, «Più efficace della parola è l’opera». Cattolicesimo a Saronno durante l’episcopato del card. Schuster (1929-1954)
Ass. Angioletto Castiglioni, I Caduti per la libertà della provincia di Varese
Foto nell’articolo: Anpi Saronno

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 25 Aprile 2020
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