“La tecnologia per evitare inutili accessi all’ospedale c’è già”

Allo IUAV di Venezia un laboratorio di design medicale sforna progetti per utilizzare la tecnologia per evitare ospedalizzazioni inutili. Eccone alcuni

Designer per la salute allo IUAV

La tecnologia c’è già, il lavoro sul design applicativo è in pieno svolgimento: forse questa terribile esperienza del coronavirus aiuterà a rendere più facile, casalinga e innovativa la prevenzione, che permette di prendersi cura delle persone più fragili in condizioni di maggiore sicurezza e minore intasamento degli ospedali.

Al lavoro, in particolare, c’è un laboratorio dello IUAV, l’Istituto Universitario Architettura Venezia, sezione Design, a cui partecipa anche il varesino Andrea Ciotti ed è coordinato dal professore ordinario di design di prodotto e comunicazione Medardo Chiapponi: «Uno studio nato più  vent’anni fa, quando ancora insegnavo al Politecnico di Milano ma che allo IUAV ha preso forma all’interno della laurea magistrale in design, con un  laboratorio di design medicale  – spiega Chiapponi –  L’impostazione che abbiamo dato già da molto tempo è di capire come, applicando tecnologie digitali e sensori si possano creare nuovi prodotti, e nuovi dispositivi. Nel nostro caso i progetti non hanno ancora le certificazioni necessarie ai prodotti medicali, ma sono modi per supportare attenzione, con prodotti che si possono utilizzare anche a casa».

Quello che il laboratorio vuole promuovere e aiutare è la «Diffusione di dispositivi medicali vicini agli oggetti di uso quotidiano e utilizzabili da persone che non sono medici o tecnici, in grado di aiutare il monitoraggio e la prevenzione».

Tra gli esempi che stanno portando avanti ci sono uno “zaino” per la dialisi portatile (Progetto di Alessia Buffagni, ndr), che quindi evita ai dializzati una presenza quasi quotidiana in ospedale,  e un dispositivo per l’analisi dei carcinomi (Progetto di Martina Frausin, ndr) che, attraverso il monitoraggio della saliva, dà una risposta immediata sulla sua presenza senza andare a fare l’esame in ospedale, ma semplicemente recandosi dal proprio medico.

Uno dei più importanti, anche per questi tribolati tempi, è però il progetto europeo che il laboratorio sta portando avanti con una serie di soggetti tra Italia e Austria: si intitola “Age design” che in una serie di dispositivi che  misurano parametri biologici come battito cardiaco, ossigeno nel sangue, disidratazione, onde cerebrali: per pazienti a rischio di aritmie, ischemie, polmoniti. «Tutti problemi tipici dell’età avanzata – spiega il docente – Per testarlo, abbiamo realizzato anche prototipi funzionante, che abbiamo verificato sui vari dispositivi. Mentre noi ci occupavamo di questa parte, i colleghi austriaci hanno lavorato su analisi del movimento, in alcuni esercizi fisici che servono per rafforzare l’equilibrio ed evitare le cadute». I dispositivi hanno lo scopo di prevenire, o di rilevare precocemente, dei disturbi molto diffusi nella popolazione anziana e che possono essere anche fatali: con la possibilità di avvertire in tempo reale parenti e medico, guadagnando tempo prezioso senza muovere gli anziani da casa. 

Designer per la salute allo IUAV
Uno dei dispositivi del progetto: il rilevatore precoce di ictus, progetto a cura di Arianna Tonello

Professore, a che punto è la ricerca su questo tipo di strumenti?
«Per quanto riguarda le tecnologie c’è già moltissimo. In questi ultimi dieci anni ci sono anche stati avanzamenti notevoli: la sensoristica è evoluta tanto, ce n’è una quantità enorme, miniaturizzata, che necessita di meno energia. Quello che forse manca, ed è lo spazio di intervento principale del design, sono le proposte per utilizzare queste tecnologie in dispositivi innovativi e pratici a livelli anche quotidiani e personali. Più che l’innovazione, quindi, è l’applicazione che manca».

Per farlo, serve quindi chi questo può metterlo in pratica, supportato dal design, su cui già diversi stanno lavorando, come appunto il laboratorio IUAV. «Adesso anche noi dobbiamo essere capaci di comunicare che queste possibilità esistono – conclude Chiapponi – La gente non è tenuta a saperlo, c’è una maggiore responsabilità anche nostra nel farlo conoscere».

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 03 Aprile 2020
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