Nessun abuso d’ufficio in Comunità montana, tutti assolti
Nel processo di fronte al collegio giudicante anche l’ex presidente Marco Magrini, assolto assieme agli altri imputati

Non ci fu alcun abuso d’ufficio nella gestione dei servizi per la raccolta rifiuti gestita da Comunità Montana e per i quali erano a processo dal 2018 i componenti della giunta dell’ente pubblico oltre a due tecnici e al liquidatore della società “in house“ Valcuvia Servizi.
Fra le persone assolte dall’accusa anche l’allora presidente di Comunità montana e oggi sindaco di Masciago Primo Marco Magrini. L’udienza si è tenuta martedì dinanzi al collegio giudicante di Varese.
Ciò che veniva contestato dalla Procura riguardava la decisione della Giunta di Comunità Montana del 14 ottobre 2013 con la quale si autorizzava la stipula di un contratto con oggetto “Attività strumentali alla gestione del servizio rifiuti”, per l’importo di 107 mila euro, di fatto l’adeguamento a due contratti già in essere nel 2009 e 2011 tra Comunità Montana e la Valcuvia Servizi srl, società che tuttavia risultava già in liquidazione. E pertanto l’ipotesi contestata è quella dell’articolo 323 del codice penale: abuso d’ufficio.
Secondo l’accusa quella decisione costituiva un illecito, ma per i difensori si è trattato di un iter procedurale del tutto corretto sia per i rilievi tecnici dei responsabili del servizio ragioneria, sia per la decisione “politica“ della giunta nel dare prosecuzione ad un servizio ai cittadini della valle.
Il verdetto arrivato martedì è stato dunque favorevole per gli imputati, tutti assolti.
«La sentenza arriva dopo la recente riforma del reato di abuso d’ufficio che prevede la contestazione di una norma specifica di legge, mentre nell’originario capo d’imputazione il pubblico ministero si riferiva genericamente all’’articolo 97 della Costituzione» ha spiegato uno dei difensori, l’avvocato varesino Andrea Toppi.
«La modifica intervenuta giustificava un’assoluzione perché non è più reato, mentre la tesi accolta dal collegio è stata assoluzione di merito perché il fatto non sussiste», .
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