Il corridore che fugge
di Paolo Negri

Dedicato al grande nonno Toni che i ciclisti li chiamava “corridori”
Il nostro corridore non dorme, si veste prima dell’alba, e appena suona, va. Non gli importa cosa rimarrà immobile accanto a sé, che siano montagne o grattacieli, lui corre e con lui corre il suo pensiero, per quanto vada forte e per quanto scappi lontano, sa che la sua fuga lo condurrà sempre al suo punto di partenza: sé stesso.
Ieri, a metà della salita, gli è passato accanto il Corridore che arriva, così l’ha battezzato, non sapendo il suo nome. Gli sta simpatico, lo saluta, lo vede guardare di continuo l’orologio, lo vede girare le gambe a mulinello: si starà allenando per qualche striscione da raggiungere il prima possibile? Magari a braccia alzate?
Oggi il nostro corridore vuole incontrare Colui che arriva, scambiarci qualche parola, capire il suo segreto, cosa lo spinge, cosa lo soddisfa. Allora accorcia il percorso, giunge presto all’imbocco dell’ascesa, sale di buon passo e, ad accoglierlo in cima, seduto su una panchina c’è un atleta mai visto prima.
Buongiorno rilassato, “Che incanto la vista da quassù, ci passo tutte le mattine alla stessa ora e sempre mi stupisce!”. Quasi sì, all’incirca d’accordo, ecco fiacca la risposta del nostro sportivo. A lui solo interessa: dove sta quell’Altro? “Non l’ha visto mica passare?”
“Certo! Quello, vestito di nero, tempo per fermarsi non ne ha! S’è infilato il mantello e poi ciao a capofitto! Non gli importa cosa rimarrà immobile accanto a sé, che siano laghi o semafori, lui corre e con lui corre il suo cronometro, per quanto vada forte e per quanto stia nei pressi, sa che la sua corsa lo condurrà sempre al suo punto di partenza: la linea del traguardo!
Se vuoi raggiungerlo, devi allenarti a testa bassa! Ma ricordati che avrai sempre alle calcagna la tua ombra che mai riuscirai a staccare e innanzi l’ombra dell’altro che mai riuscirai a raggiungere!”.
E allora arrivederci e grazie! Tra queste boschive forcelle prealpine con le gambe che son dure come legno e le discese tortuose come lacrime. Con un altro passo e un nuovo incontro, forse tre giovani: uno da mordere il freno, uno da scatto fotografico e uno da regolazione del cambio.
Il nostro protagonista si rasserena poi ricomincia, tra un tratto in pavé che di colpo lo mette in difficoltà (“Com’è possibile sorprendersi dello stesso panorama tutte le mattine?”) e una speranza: raggiungere o essere raggiunto da qualche amico, di quelli un po’ gregari e un po’ tifosi, un po’ allenatori e un po’ meccanici. Sapendo che quei momenti condivisi, siano titaniche imprese o semplici giri del quartiere, entreranno nell’albo d’oro di un Tour speciale, iniziato il giorno della propria nascita e da concludere, come vuole la mitologia a pedali, tra lo sterrato dei Campi in fiore.
Ispirato a “La canzone del ciclista” – Tetes du Bois, 2004
Racconto di Paolo Negri, fotografia di Emanuele Abatini (Instagram @Skabart_ig)
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