Per le imprese della provincia di Varese la domanda è in attesa di risposta
Dai dati di Confartigianato emerge ancora incertezza. I presupposti per la ripresa ci sono ma il mercato non può ripartire per la mancanza di materie prime e i costi dell'energia
L’economia nell’era digitale e della globalizzazione non ha alcuna linearità, ma è caratterizzata da una discontinuità permanente, generatrice di contraddizioni. C’è la ripresa, ma le imprese non possono produrre. Quale contraddizione più grande, dopo due anni di pandemia?
«La domanda del mercato è sempre forte – dice Davide Galli, presidente di Confartigianato Imprese Varese – ma ci sono due condizioni negative: la difficoltà di reperimento delle materie prime e i costi dell’energia così alti che alcune aziende preferiscono chiudere o mettere i dipendenti in cassa integrazione».
Eppure, commentando i dati presentati in conferenza stampa da Confartigianato, Galli si dice «sorpreso». In effetti le cifre parlano chiaro: il numero di imprese iscritte nel 2021 raggiunge quota 4.078, superando del 3,8% le iscrizioni registrate nel 2019 (3.938). Un bel risultato quello della provincia di Varese che fa meglio rispetto al resto d’Italia, grazie al traino delle imprese che operano nelle costruzioni e nei servizi. Di contro il manifatturiero fa registrare una netta riduzione (-11,9%), tra le più alte in Lombardia.
Sul fronte occupazione nel manifatturiero, per i primi tre mesi del 2022, ci si attesta a quota 17.090 nuovi ingressi, una situazione stazionaria che ricalca quella del periodo pre pandemico e comunque migliore rispetto al dato medio regionale (-3,3%).
«C’è una carenza di personale qualificato – sottolinea Galli – mancano figure intermedie e laureate nelle materie Stem (science, technology, engineering and mathematics, ndr). A questo miss match concorre anche la vicina Svizzera dove si spostano i lavoratori impiegati nella sanità, costruzioni e manifatturiero».
L’osservazione del presidente di Confartigianato riporta al centro il tema della formazione, di cui si discute da anni. Il sistema produttivo richiede figure tecniche, ma sono ancora troppo pochi i giovani che scelgono gli Its, istituti tecnici superiori – scuole di formazione terziaria – in grado di formare personale tecnico altamente qualificato.
Per le nostre imprese c’è anche un tema di employer branding, cioè la capacità di essere attrattive per i potenziali dipendenti. «Gli investimenti in tecnologia e welfare contribuiscono ad alzare l’attrattività delle imprese – conclude Galli – anche se i giovani preferiscono avere qualche soldo in tasca in più piuttosto che servizi legati alla sanità che sono più graditi ai lavoratori di una certa età. E con l’andamento demografico del Paese, le aziende dovranno essere molto competitive tra loro per accaparrarsi le risorse migliori».
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