«Inammissibili» i ricorsi per processare Piccolomo, la Cassazione deciderà a giorni
Depositate le conclusioni della procura generale presso la Suprema corte. L’uomo condannato all’ergastolo in primo grado a Varese scagionato in appello per l’applicazione del principio “ne bis in idem“
Ne bis in idem, «non due volte nel medesimo fatto»: Giuseppe Piccolomo non può essere giudicato due volte per lo stesso fatto, cioè la morte della moglie Marisa Maldera morta secondo la versione accolta dai giudici di Varese nel 2006 per un incidente stradale avvenuto tre anni prima quando la donna morì bruciata nell’auto guidata dal marito nel febbraio 2003 (per quei fatti si arrivò a patteggiamento a un anno e 3 mesi). La formula latina venne invocata dal legale di Piccolomo – già in carcere per l’omicidio Carla Molonari – : e proprio ieri Stefano Bruno ha parlato del procedimento impugnato dagli avvocati delle figlie di Piccolomo che sono state in giudizio a Varese come parte civile contro il padre condannato in primo grado, con la clamorosa decisione della corte d’Assise d’appello di Milano che ha reputato non giudicabile l’uomo appunto per lo stesso fatto.
Questa decisione è stata impugnata dagli avvocati della figlie dell’imbianchino di Corato dinanzi alla corte di Cassazione, «ma è lo stesso procuratore generale presso la suprema corte che nelle motivazioni adduce addirittura l’inammissibilità dei due ricorsi», ha spiegato ieri a Varese l’avvocato Stefano Bruno, legale di Piccolomo il quale presentò all’Assise di Varese un’eccezione preliminare invocando proprio il ne bis in idem ai sensi dell’articolo 649 del codice di procedura penale: «L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze», e se e «ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo».
Un principio per il quale venne richiesta l’applicazione in primo grado senza successo a Varese ma che venne appunto accolto dai giudici milanesi. Ora è attesa la decisione della Cassazione, per il prossimo 27 aprile
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