Hikikomori: se il ritiro è sociale, la soluzione non può essere individuale

Da Sakido, progetto sul Ritiro Sociale in adolescenza in provincia di Varese, la strada per trovare una via d'uscita al fenomeno degli Hikikomori

Generico 18 Jul 2022
Foto di 愚木混株 Cdd20 da Pixabay

Ritiro Sociale, Ansia Sociale, Disagio Sociale: sono tutte problematiche con cui stiamo imparando – nostro malgrado a familiarizzare. Ne parlano i media, moltissimo, a volte le viviamo anche sulla nostra pelle. Ma come si affrontano? Esiste la la cura per eliminare i sintomi e vivere in pace?

Per rispondere a queste domande, proviamo a spostare per un attimo l’attenzione dal fenomeno e a direzionarla sulla linguistica.
Succederà una cosa affascinante: ci renderemo conto che il problema, inteso come insieme di sintomi visibili, si annida nella prima parola: Ritiro, Ansia, Disagio. Mentre la seconda – che è sempre la stessa: “Sociale” – diventa un po’ evanescente, sfuggente. Difficile da concettualizzare.

SE È SOCIALE, ALLORA RIGUARDA TUTTI

Quindi cosa significa, davvero, “Sociale”? Il dizionario dice: “che vive in società” “che si riferisce alla collettività” “che è inerente a una comunità”. Quindi potenzialmente tutto (o sarebbe meglio dire, tutti) ma forse anche niente.
Possiamo pensarla come una parola-ombrello, che racchiude al suo interno tutte le dinamiche – più o meno sane – del vivere in società. È il contesto nel quale siamo immersi ogni giorno, l’insieme delle persone che conosciamo, le relazioni che ci legano, i modelli che seguiamo, ecc. Insomma: il mondo che abitiamo.

Quindi è facile vedere come tutto questo possa rappresentare in qualche modo la causa del problema, l’origine del malessere e il luogo in cui si consuma. Ma anche – allo stesso tempo – la sua soluzione. Perché se è il contesto sociale – la società – a rendere difficile un’esistenza serena, è solo intervenendo sulla società che si potrà disinnescare la bomba prima che esploda.

Ma allora, restiamo sul lessico, di cosa parliamo quando parliamo di società? Di un gruppo di individui – dice sempre il dizionario – uniti da rapporti umani di varia natura. Insomma: un modo astratto e altisonante per dire una cosa molto semplice: noi. Eccoci arrivati quindi al nocciolo della questione: tutto ciò che è seguito dalla parola Sociale, è qualcosa che ci riguarda. Tutti quanti, senza distinzioni. Ècosa nostra, è di casa. Anche se non abbiamo fatto direttamente esperienza del problema, anche se non ci riguarda da vicino. Ma è figlio della nostra società, per cui è anche nostro.

Parlando di Ritiro Sociale (ma potrebbe valere per tutti quelli che vengono riconosciuti come “problemi o fenomeni sociali”) la leggerezza più grande è pensare che sia una gatta che si deve pelare solo chi ha scelto di ritirarsi. Ma basta ampliare un attimo lo sguardo, invece, per vedere come il Ritiro Sociale impatti in modi diversi su tanti altre persone tutte intorno.
L’esempio più evidente sono i familiari. Genitori in cerca di risposte, che non sanno come agire, sempre timorosi di sbagliare.

Allarghiamo ancora l’inquadratura: ci sono gli amici, i compagni di scuola, che vedono letteralmente “sparire” qualcuno sotto i loro occhi, senza sapere bene perché, sentendosi magari abbandonati, in colpa, sicuramente senza strumenti adeguati per capire.
E poi ancora, pensiamo all’impatto che il ritiro ha sugli operatori sociali che prendono in carico il ritirato, sugli insegnanti, ma anche i sui genitori degli amici, sui parenti, sugli amici degli amici. E così via.

Ma quindi tornando alla domanda di partenza: esiste la la cura per eliminare i sintomi del Ritiro Sociale e vivere in pace? La risposta è che questa domanda non sussiste più! Abbiamo bisogno di abbandonare la prospettiva meccanicistica e smettere di chiederci come si cura il ritiro sociale? Come si aggiusta chi lo vive? Come si può far tornare tutto come prima? Questo non fa altro che scaricare nuovamente il “problema” sulle spalle di chi lo vive in prima persona e quindi perpetuare le condizioni per cui si verifica.

E poi, forse, è proprio in quel “come prima” che si radica il malessere. In fondo, quanto poteva essere sano il contesto che ha generato tutto questo disagio?
Restiamo in ascolto, quindi, proviamo a sospendere consapevolmente la valutazione e cerchiamo di comprendere cosa ha spinto le porte di quelle camerette a chiudersi così drasticamente.

Impegniamoci a costruire un ambiente accogliente e privo di giudizio, senza puntare il dito contro i ragazzi, i videogiochi, i genitori, ecc. Abbiamo già capito che cercare il colpevole non risolve il caso.
Lavorare tutti insieme per creare un contesto sociale il più possibile accogliente e abilitante, invece, sì.

A cura di Elisa Begni, operatrice di Sakido, il progetto che si occupa di Ritiro Sociale in Adolescenza, in provincia di Varese

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 20 Luglio 2022
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