La difesa: assolvete Domenichini, non è lui l’omicida d Malnate
L’avvocata Francesca Cerri ha chiesto il proscioglimento del suo assistito, in subordine la decadenza delle aggravanti e l’accesso al rito abbreviato

«È di certo un ladro. È di certo un truffatore. In una parola, un delinquente, come dimostrano 8 pagine di fedina penale fitta fitta. Ma non è un assassino». Impronte sul vaso considerato arma del delitto. Tracce del dna dell’imputato sotto il letto ungueale della vittima. Le telefonate fatte il giorno dell’omicidio alla vittima partite dal suo telefono.
Il soggetto di questi indizi pesanti come macigni ha un nome e un cognome: Sergio Domenichini, tecnicamente in regime di custodia cautelare in carcere dopo l’arresto nell’estate del 2022 prima accusato e oggi imputato nel processo per l’omicidio della povera Carmela Fabozzi, detenuto a Pavia per altre cause per le quali è in carcere appunto e al netto del procedimento in corso all’Assise di Varese v resterà fino al 2034. Poi, quarantennale esperienza in campo di truffe, e raggiri, spesso nei riguardi dei più deboli.
Roba da “atlante criminale“, insomma, fatto di precedenti di tutto rispetto.
Ma la domanda del difensore di Sergio Domenichini durante l’arringa seguita a richieste d’ergastolo e di altri risarcimenti della parte civile è: basta questo per inchiodare l’imputato alle proprie responsabilità di assassino? No di certo. Infatti l’avvocata Francesca Cerri (foto) invoca gli strumenti del dubbio e li propone ai due giudici togati e ai sei popolari in maniera pacata e lineare. Primo: nessuno ha visto Domenichini sul posto al momento dell’omicidio che viene fatto risalire fra le 10 e le 11 del mattino del 22 luglio. Poi il difensore sostiene che proprio in virtù della sua attitudine al crimine, Domenichini, una volta entrato nell’appartamento dell’anziana e averla vista a terra esanime in un lago di sangue, avrebbe temuto per la sua libertà così da aver lasciato l’appartamento con due cellulari della vittima (che sapeva contenere messaggi e chiamate precedenti). Ancora: secondo l’avvocata dalla casa dell’anziana non sarebbero spariti gioielli.
E ancora: il dna del Domenichini sotto all’unghia anulare della signora fabozzi sarebbe da imputarsi al fatto che Domenichini avrebbe toccato la donna in una giornata dove si sudava molto per il caldo torrido, così da aver lasciato tracce del suo dna.
Le impronte nel cavo del vaso sarebbero sì di dell’imputato, ma della mano sinistra, e dunque non impugnato, il vaso, per colpire, ma solo per spostarlo sul mobile dove i carabinieri della Rilievi l’hanno trovato (Domenichini è destro). Dunque alla fine dell’arringa durata un’ora l’avvocata Francesca Cerri ha potuto pronuncia la sua richiesta: assoluzione, o in subordine decadimento delle aggravanti contestate e accesso al rito abbreviato (che per legge non può venir concesso per i reati che contemplano l’ergastolo, come nel caso all’omicidio volontario aggravato che viene contestato all’imputato). A fine mese, repliche e verdetto.
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