Alle radici di una carriera da campione: Stefano Garzelli e la Polisportiva Besanese

Il corridore varesino, maglia rosa nel 2000 e oggi telecronista RAI, iniziò a pedalare nella squadra del suo paese. «Per me la bici era un gioco: per i bambini è l'approccio più bello»

stefano garzelli besanese

Vincitore del Giro d’Italia nel 2000 con la maglia della Mercatone Uno, Stefano Garzelli è stato un’icona del ciclismo a cavallo del Duemila, in un’epoca dove lo strapotere italiano nel mondo delle due ruote regnava incontrastato. Nei suoi 17 anni da professionista, Stefano ha messo in mostra le sue doti da scalatore, dimostrandosi competitivo anche come passista, velocista e cronoman.

Indimenticabile la coppia formata dal 1997 al 2000 insieme a Marco Pantani, periodo costellato da numerose vittorie. Stefano, nei primi anni gregario del “Pirata”, riuscì a vincere l’83° Giro d’Italia – quello del 2000 – anche grazie all’aiuto di Pantani, fondamentale sulle salite decisive di quella edizione.

Oltre a quel trionfo – il più importante nella carriera – Garzelli vanta un secondo posto (2003, dietro a Simoni), due maglie della montagna (2009 e 2011), nove vittorie di tappa in ben 14 partecipazioni. E poi ci sono la vittoria del Tour de Suisse 1998, la Tirreno-Adriatico 2010 e la doppietta (20052006) alla Tre Valli Varesine. Una carriera strepitosa iniziata però a Besano, paese d’origine di Stefano Garzelli, e nella squadra locale, la Polisportiva Besanese di cui l’ex maglia rosa parla ancora molto volentieri.

Stefano, come è nata la sua passione per il ciclismo?

«La mia passione per il ciclismo è nata più di 40 anni fa perché a Besano esisteva la Polisportiva Besanese e anche perché mio fratello Marco già correva in bici nella Coop Corsico, una squadra di Lavena Ponte Tresa. Seguendo le sue orme decisi di mettermi in sella ad una bici e iniziai a pedalare, giocando e divertendomi fin da subito in un ciclismo che era molto piacevole».

Quando ha iniziato a correre per la Polisportiva? E com’è cambiata questa squadra rispetto ad allora?

«Ho iniziato nel 1980, avevo 7 anni. Sicuramente nel tempo la Polisportiva Besanese è cambiata ma non è un caso isolato: penso proprio che nell’ambito sportivo tutto il mondo giovanile sia diverso da un tempo. Forse una volta ci si divertiva di più con la bicicletta, si giocava in sella e di conseguenza nasceva anche lo stimolo e la voglia di gareggiare e di vincere. Adesso, secondo me, si sta mettendo troppo da parte il lato del gioco e ci si focalizza troppo solo sul “vincere”, e questo non è sempre un bene per i bambini».

Che cosa ha rappresentato per lei la Polisportiva e quanto ha influito per ciò che poi è diventato?

«La Polisportiva Besanese per me è tutto: se non fosse esistita non sarei diventato quello che sono e probabilmente non sarei neanche qua a fare questa intervista. Ho iniziato con quella squadra vedendo altri ragazzi in sella ad una bici, mi ha dato la possibilità di coronare un sogno che avevo da bambino che era quello di correre il Giro d’Italia e fortunatamente anche di vincerlo. La mia relazione con la Polisportiva è rimasta anche dopo aver vinto il Giro, infatti, come riconoscenza per quelle persone che mi hanno aiutato nei miei primi anni, ho deciso di sponsorizzare la squadra mettendoci il mio nome e anche un po’ di rosa (oggi colore della Besanese ndr) in onore della maglia del Giro».

Quali prospettive o speranze future vede per la Polisportiva Besanese?

«La speranza è che questa squadra possa continuare a vivere e a far divertire i ragazzi. La Polisportiva Besanese esiste da più di 50 anni e già questa è una grande vittoria perché la cosa più difficile è mantenerla. Spero che possano continuare ad avere bambini tra le loro fila e a insegnare i valori dello sport che sono la cosa più importante. Diventare campioni è una cosa a parte perché non tutti ci riescono, ma è fondamentale che la squadra continui con la sua filosofia trasmettendo divertimento e felicità ai bambini».

A questo punto è d’obbligo qualche aneddoto.

«Mi ricordo che un anno la Polisportiva Besanese decise di organizzare due corse di Giovanissimi a Besano al posto di una. Nella seconda gara arrivai primo e alzai le braccia al cielo, una cosa assolutamente vietata nella categoria dei più piccoli. Non mi squalificarono solo perché ero di Besano e andai a casa piangendo per quello che avevo fatto (ride, ndr)».

Per diversi anni ha gestito una squadra giovanile in Spagna, dove lei vive con la famiglia: quanto le è stata utile l’esperienza in Besanese?

«La “Stefano Garzelli Team” era nato proprio grazie alla Polisportiva Besanese: circa dieci anni fa ero riuscito ad andare con mia moglie al classico pranzo della Besanese nonostante gli impegni, al tempo avevo tre figli e due correvano in un’altra squadra spagnola. Parlando con mia moglie ci siamo chiesti: “perché non facciamo anche noi una squadra?”. Siamo andati a Valencia e in due giorni abbiamo costruito la nostra società: inizialmente era formata da cinque bambini: quattro erano i nostri figli!».

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Pubblicato il 20 Marzo 2024
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