Preziosi all’ultima serata di Tra Sacro e Sacro Monte: “Il Piccolo Principe? Non puoi leggerlo e basta: ci sei, interpreti”
Nella Basilica di San Vittore per "Tra Sacro e Sacro Monte" l'attore riflette su responsabilità e infanzia perduta

Dalle “Confessioni” di Sant’Agostino al Piccolo Principe: Alessandro Preziosi ha attraversato quindici secoli di letteratura in una sera, trasformando la Basilica di San Vittore, sede alternativa per l’ultima serata di Tra Sacro e Sacro Monte, in un luogo dove sacro e fiaba si sono incontrati. In conclusione, tra una firma per le fan e un’altra l’attore ha risposto a qualche domanda.
Alessandro Preziosi, come è nato questo spettacolo? Quanto avete provato?
«Ormai lo stiamo provando da due anni… (ride). È una lettura, con i pregi e la spontaneità della lettura teatrale. Ho pensato a me stesso quando avevo sei anni, come il Piccolo Principe. Sono salito sul palco e ho detto “Avevo 6 anni quando”. Ecco, questo è l’inizio di un libro. I libri hanno un tono, è lo stesso motivo per
cui si dice in alto a sinistra per girare la pagina, no? È questo è il senso e la misura della messa in scena. Non ci sono prove che tengano, perché gli spettacoli hanno una loro geometria, una loro scientificità. E la lettura no, non provi ma non stai lì a leggere e basta: ci sei, interpreti».
Sulle prime due righe del suo profilo Wikipedia c’è scritto che lei legge le «Confessioni» di Sant’Agostino e crede in Dio, è particolare che il suo racconto inizi così.
«Ma questo basta chiederlo all’Ai: come risponderebbe Preziosi a una domanda sulle Confessioni di Sant’Agostino?».
Ma è vero che lei le legge abitualmente?
«Sì, sì, sì. Le ho lette, le ho le ho riadattate, le ho incise, le rileggo, le capisco giorno dopo giorno sempre di più. È un testo difficile da leggere in pubblico ma di questi tempi attecchisce sempre di più. Poi non so se lo dice anche Internet… come Massimo Troisi quando diceva “Se lo dice la televisione”. Ti ricordi?».
Tra i tanti contenuti del Piccolo principe, si parla del tempo di addomesticare, di conoscersi, di coltivarsi a vicenda: un tempo che ci appartiene sempre meno?
«L’uomo combina l’addomesticamento con la solitudine, perché pensa che sia solo il cane a dover essere addomesticato. È un’espressione che quasi dà prurito. Si confonde l’addomesticare nel suo senso letterario con l’addomesticare come entrare in relazione. È importante darsi quel famoso appuntamento, per cui se a
quell’ora lui sta per arrivare io so che posso e devo preparare il mio cuore».
Anche il concetto di responsabilità, quello che il Piccolo Principe prova per la sua rosa, rischia di essere desueto.
«Responsabilità vuol dire rimanere in contatto con una domanda e con una risposta, non accontentarsi mai della prima risposta. La responsabilità è il tempo che ci si dedica, è la premura, è lo scrupolo, la responsabilità è un concetto certo troppo “legalmente” diffuso. E quindi se su un sistema molto largo, la
responsabilità viene disattesa, poi nella vita reale ognuno si sente libero di fare ciò che vuole che anche quella è una responsabilità, no? Il lasciare andare…».
Al termine ha fatto una riflessione sul tornare bambini: parlava di un’esperienza personale o anche di qualcosa di più politico?
«Penso ai bambini di Gaza. Lì non c’è perdono. Lì c’è soltanto il prepararsi… il perdonarsi per non aver fatto nulla per aiutarli. E questo mi ci metto pure io: non ho fatto nulla».
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