Storia dell’Hotel Ungheria, e di quando in viale Borri si ballava tra i campi

Gli ultimi 70 anni di viale Borri raccontati dalla famiglia Segafredo: un pezzo di storia della città, nelle vicende della "Locanda" diventata uno degli hotel di riferimento in città

La famiglia Segafredo e i 70 anni dell'hotel Ungheria

L’Hotel Ungheria è, ora, uno degli hotel di riferimento nella città di Varese. Bike Hotel, albergo vicino a ospedale e università, una gestione attenta ai cambiamenti di esigenze degli ospiti. E’ stato protagonista ai mondiali di ciclismo e di canottaggio e le sue 27 camere sono spesso “al completo”.

Ma l’Hotel Ungheria è anche un pezzo di storia di Varese: con i suoi 70 anni di vita, ha visto crescere un’intera fetta di città, quel viale Borri che una volta era campagna, e ora è una delle zone più urbanizzate della città Giardino.

Fortunatamente, la bella famiglia Segafredo può raccontarne la storia: e per questo li abbiamo incontrati in quella che una volta era casa loro e ora è la loro attività principale di famiglia. Ad accoglierci c’erano Enzo e Natalina, i genitori, e Simone e Luciana, due dei figli (li vedete nella foto. In tutto però i figli sono tre: c’è anche Anna) al lavoro nel locale fondato dal nonno Ermenegildo.

STORIE DI EMIGRATI

La famiglia Segafredo arriva a Varese alla fine degli anni venti dal Veneto, anzi, dall’altipiano di Asiago, in tempi dove in quella regione non c’era più niente se non la devastazione della prima guerra mondiale, e per sperare di dare una vita migliore alla famiglia non si poteva che emigrare. Qui il nonno arriva come cuoco, insieme ad un fratello falegname. «Per i primi vent’anni, hanno fatto ognuno i loro lavori – spiega Luciana – Mio nonno ha lavorato anche come cuoco dei carabinieri. Quello che adesso è l’hotel era casa loro, e poi nostra: la cucina e le stanze erano dove noi stiamo parlando ora, nella stanza comune all’ingresso. Mio padre è nato qui. Intorno c’era la campagna, e qui i nonni hanno passato i travagliati anni della seconda guerra mondiale».

«Abbiamo visto il bombardamento dell’Aermacchi dalle collinette qua intorno, e abbiamo visto passare da qui i tedeschi in fuga,e gli americani poco prima della liberazione erano accampati qui di fronte – ricorda papà Enzo – Ho ancora stampato in testa questi ragazzoni biondi e altissimi, specie per me che avevo si e no 5 anni, e la pila di scatoloni bianchi con su scritto Johnny Walker e Lucky Strike, che facevano parte del loro rifornimento». E’ stato proprio alla fine di questa che mio nonno ha deciso di aprire un locale.  Una trattoria dove si serviva cucina veneta perchè, come diceva la nonna, «I varesini mica son capaci di cucinare…».

UN LOCALE PER DIMENTICARE GLI ORRORI DELLA GUERRA

Il locale, inizialmente un ristorante, apre proprio nel 1946: «Il nonno era cuoco, il posto si prestava… così ha deciso di aprire un locale dove la gente potesse vivere un po’ allegramente la fine della guerra: non solo si poteva mangiare, ma anche giocare a bocce e ballare.

Era la prima balera di Varese nel dopoguerra, e so di molti che si sono conosciuti qui e poi sposati». Un periodo con tanta voglia di spensieratezza, in un posto che allora era nelle campagne fuori Varese: l’urbanizzazione di viale Borri è arrivata molto dopo, intorno agli anni 60/70.

Ma la “festa” è durata circa 10 anni: «La balera chiuse nel 1955. Ce lo chiesero i frati: i seminaristi venivano qui a vedere le ragazze ballare… – Spiega ridendo papà Enzo – Comunque chiusa la balera rimasero per un bel pezzo le bocce: quanto vino bevevano giocando, i ragazzi che venivan qui!».

DA RISTORANTE-BALERA A LOCANDA: COMINCIA LA STORIA DELL’HOTEL UNGHERIA

In quegli anni comincia anche la trasformazione del ristorante in hotel, o meglio in locanda: «Era una cosa semplice: avevamo 5 stanze, con un bagno in comune e senza riscaldamento, dove nemmeno era previsto che si dormisse ognuno in una camera diversa: oggi lo si chiamerebbe ostello, ma allora era la normalità – spiega Luciana – La gente veniva per lo più per lavoro. Qui intorno c’era già la Prealpi, la Malerba, incominciavano a essere tante case in costruzione e pure una sede di quella che poi sarebbe diventata l’Unilever…La locanda ha aperto nel 1955. Abbiamo ancora il registro dei primi anni: i primi clienti furono due tedeschi, padre e figlio».

DA 5 A 27 CAMERE: COME UN ALLOGGIO CAMBIA FACCIA NEL TEMPO

La locanda ha avuto solo 5 camere comuni per parecchio tempo: «Ricordo ancora quando abbiamo costruito la sesta, la prima con il bagno in camera. Una rivoluzione! – ricorda Luciana, che era ancora piccola allora, ma già al lavoro nella “ditta” di mamma e papà, perché a quell’epoca i ragazzini di nove anni già servivano il caffè e aiutavano la mamma a fare le pulizie nelle camere  – Ma erano già gli anni settanta, le esigenze di chi veniva a dormire qua erano cambiate. Prima non era ritenuto fondamentale, ma in quel decennio hanno cominciato a volere tutti  il riscaldamento… Quindi abbiamo cominciato con le ristrutturazioni. Le stanze sono diventate prima 18. Poi, negli anni 2000, abbiamo aggiunto un piano e sono diventate 27»

Negli anni i “viaggiatori“, i lavoratori di passaggio che apprezzavano quell’hotel ubicato sulla “Milanesa” (come chiamavano la strada statale Varesina che porta a Milano) e vicino alla prima autostrada d’Europa che finiva a pochi passi da loro, si aggiungono anche gli utenti dell’Ospedale: «Che, in fondo, è innanzitutto una grande azienda del territorio. E che rappresenta ora una buona fetta dei nostri clienti ora» spiega Simone. E, infine, anche all’Università: «Che ha molti visitatori, tra ricercatori e docenti: ci accorgiamo della sua fama crescente dai clienti in arrivo».

L’ultimo adeguamento alle esigenze dei clienti è di appena un anno fa: «In molti, tra quelli che venivano all’ospedale, ci chiedevano un angolo cucina. Chi lavora vuole tutto servito, e magari ne approfitta per andare fuori a mangiare. Ma chi viene per delle cure, o per stare accanto a dei parenti, preferisce un’aria più di casa: cosi abbiamo acquistato una palazzina vicino all’hotel, trasformandola in una sorta di residence: l’abbiamo realizzata tutta di legno, a impatto quasi zero ed è, oltre che accessibile, anche la prima approvata da CasaClima per l’accoglienza».

MA ALLA FINE, PERCHE’ SI CHIAMA UNGHERIA?

«In realtà “Ungheria” è l’adattamento ad un nome storico: era più precisamente, ciò che capivano i miei nonni quando parlavano con i varesini, nei primi anni. La zona veniva infatti chiamata Longaria, ma loro – che all’inizio avevano seri problemi di lingua: perchè ora si parla tutti italiano, ma quando allora un veneto veniva in Lombardia aveva i problemi di un emigrante a tutti gli effetti, anche quello di comunicare – capivano qualcosa come L’Ungaria, e hanno cominciato a chiamarlo Ungheria, il luogo dove abitavano» spiega Simone «Il locale quindi ha preso il nome da quello che credevano essere il toponimo della zona. La cosa buffa è che poi la zona è diventata “Ungheria” per tutti, e proprio questo vogliamo celebrare con la festa di anniversario dei nostri 70 anni: perchè è una festa per noi, ma anche per tutto il rione»

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 06 Ottobre 2016
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