Ue, etichette “vere” sui vestiti europei
Oltre al "made in", gli eurodeputati chiedono di considerare anche l'introduzione di un'etichettatura sociale e ambientale, per informare i consumatori delle condizioni di lavoro e dell'impatto ambientale con cui il capo è stato fabbricato
Secondo il Parlamento europeo il “made in” dovrebbe essere obbligatorio per i vestiti venduti in Europa. Gli eurodeputati hanno adottato in prima lettura il regolamento per l’etichettatura obbligatoria del tessile europeo. L’etichettatura del paese d’origine deve essere resa obbligatoria per garantire che i consumatori non siano ingannati da etichette indicanti che i vestiti sono stati fabbricati in uno Stato membro dell’Unione europea, piuttosto che in un paese terzo (ad esempio, la Cina o il Pakistan). Queste sono le proposte di modifica al Parlamento per il sistema di etichettatura della UE. L’etichetta "Made in" è attualmente su base volontaria, in pratica, il suo utilizzo dipende dalla legislazione nazionale. In confronto negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone l’etichettatura del paese d’origine è regolamentata più severamente.
Gli eurodeputati chiedono di considerare anche l’introduzione di un’etichettatura sociale e ambientale, per informare i consumatori delle condizioni di lavoro e dell’impatto ambientale con cui il capo è stato fabbricato.
La relazione del Parlamento, preparata dall’olandese Tine Manders, è stata approvata con 528 voti a favore, 18 astensioni e 108 contro. Il nuovo regolamento si applicherà non solo ai capi di abbigliamento, ma a tutti i prodotti tessili: tende, divani, tovaglie, e perfino giocattoli se composti da tessuto almeno per l’80%.
I deputati hanno quindi chiesto alla Commissione di presentare una relazione da qui a due anni e, se necessario, una proposta legislativa ad hoc per imporre le nuove regole sul “made in” in tutta Europa.
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