A caccia di fiori e piante
Nuova escursione di Teresio Colombo che ci illustra la vegetazione di due nuovi sentieri

Il giorno 10 giugno decido di andare alla Rasa di Varese e seguire il sentiero che porta al passo Varrò, soprattutto perché, almeno nella parte iniziale non ci sono grosse pendenze, è particolarmente bello perché mantiene le caratteristiche dei sentieri fatti per accedere ai boschi per l’ordinaria manutenzione, per il recupero della legna, delle fascine e del fogliame.
Questi sentieri erano caratterizzati da un rafforzamento del fondo in occasione di dislivelli in modo che il tracciato non subisse modificazioni dall’acqua corrente, le pendenze variate per far affluire i flussi di acqua sempre verso valle ma fuori la carreggiata, il rafforzamento delle strutture di passaggio di acque torrentizie e costruzione di muri a secco dove vi era il timore di smottamenti, una cura dell’ambiente in cui si abitava lungimirante rispetto agli imprevisti che avrebbero potuto succedere. Mentre ero preso da queste considerazioni vedo, nella boscaglia sulla mia destra alcuni esemplari di Pigamo colombino (Thalictrum aquilegifolium) (1) una ranuncolacea poco diffusa poiché i contadini l’hanno sistematicamente eliminata dai pascoli dove cresceva spontaneo perché gli animali rifiutano di mangiare le piante di Pigamo e disdegnano anche l’erba attorno, forse perché talune sostanze contenute nella parte aerea della pianta a contatto con alcune sostanze presenti nella digestione possono originare il cianuro, attualmente sembra usato solo nella formazione dei giardini alpini; contento del ritrovamento supero un affluente del rio Legnone di cui non mi risulta il nome perché la lunghezza del corso d’acqua non supera i 300 m dalla sorgente al punto di immissione, supero anche il rio Legnone, inizio a salire prendendo la strada meno ripida fino a trovare una recinzione molto vecchia, realizzata con pietre ricavate si può presumere, da massi erratici lavorati con strumenti poco evoluti, la domanda che ci si pone, è a cosa servissero quelle pietre. La risposta che mi sembra di poter azzardare è che le pietre fossero state messe dopo aver constatato l’instabilità del terreno in quella zona e quindi venissero messe in funzione di limitare i danni ambientali nel caso di ulteriori smottamenti. Decido di salire sino al termine della faggeta che proprio nella parte più alta è luogo dove da cica 30 anni trovo orchidee ed anche questa volta vedo fusti fiorali di cefalantere a foglia stretta e a foglia larga ormai giunte al seme, ridiscendo dalla parte più ripida ma più ricca di vegetazione e qui ti vedo un Giaggiolo susinario (Iris graminea) (2) pianta mediamente tossica ma di una bellezza eccezionale, poco più avanti vedo un’Uva di volpe (Paris quadrifolia) (3) ormai con il suo frutto che è bene non assaggiare perché è la parte più velenosa di questa pianta blandamente tossica, occorre ricordare che questa liliacea risulta protetta perché in via d’estinzione. Non trovando altro di interessante decido di terminare l’uscita.
La domenica 12/6 con mia moglie decidiamo di recarci al Parco Morselli che con la possibilità di raggiungere il parcheggio rapidamente consentendo l’uscita anche con tempo incerto. La prima cosa che ritengo di qualche interesse e costituita dalla fioritura dell’Ailanto (Ailanthus altissima) (4) importato dalla Cina nella seconda meta del 1700 per scopi ornamentali si è dimostrata pianta utile particolarmente su terreni instabili perché emette polloni anche a notevole distanza dalla pianta madre, bellissima la colorazione bruno rossastra, ma come spesso accade ai vegetali d’importazione la sua diffusione va ben oltre i desideri di chi l’ha voluta; una pianta che cresce in tutto il parco è il Ligudtro vulgare (Ligustrum vulgare) (5) le cui infiorescenze sulla cima dei nuovi rami emanano un profumo intenso e dolciastro; altrettanto comune è il fiore del Vilucchio comune (Covolvolus arvensis) (6) che, malgrado l’impegno di chi cura i giardini o gli orti, sopravvive a tutti i tentativi di sradicamento che viene ricercato perché il vilucchio tende ad avvinghiarsi alle altre piante soffocandole; altra pianta a fusto sarmentoso è il Caprifoglio giapponese (Lonicera japonica) (7) varietà che pur essendo stata importata dal Giappone si è naturalizzata e la si trova nei nostri boschi in forma spontanea, mia moglie ha colto un rametto per sentirne il profumo anche a casa. Finalmente da una riva spuntano alcuni Papaveri comuni (Papaver rhoes) (8) fiore molto simpatico dai colori molto decisi la cui durata non supera le 24 ore, anche se l’apertura di nuovi fiori ci può forviare basti pensare che una sola pianta di papavero è in grado di dar vita d’oltre un centinaio di fiori, purtroppo questo fiore che assieme al fiordaliso vero hanno costituito un’attrattiva per i bambini, oggi abbondantemente della terza età, sono sempre più rari, certi autori sostengono che il fenomeno sia dovuto alle tecniche di coltivazione del frumento devo dire che anche il papavero alpino è in forte riduzione, il papavero da oppio coltivato presso tutti i vecchi ricoveri alpini è ormai introvabile, insomma dobbiamo renderci conto che ciascuno di noi vivrà una realtà che appartiene ai suoi coetanei ma che è soggetta a cambiamenti dovuti essenzialmente ad evoluzioni naturali per la maggior parte e dalla attività dell’uomo in parte molto minore. Poco lontano scorgo un ceppo di Garofanina spaccasassi (Petrorhagia saxifraga) (9), vi posso garantire che i petali del fiore sono leggermente rosati, anche la garofanina cresce su terreni magri e secchi ed è pianta rara; vicino, su questo impianto terrazzato, scorgo un Acero di monte (Acer pseudoplatanus) (10) che riconosco dai suoi frutti, le samare, disposte appaiate e ad angolo ottuso. Finalmente arriviamo all’Olivo (Olea,europea) (11) pianta che ci affascina perché è la prima volta che ci capita di vederla in fiore. Dopo aver contemplato la vista dell’Isolino sul lago di Varese, la palude Brabbia, il lago di Comabbio, il lago Maggiore e le Alpi dal m. Rosa alle Alpi Marittime ci sediamo su una panchina a riprendere fiato. Riposati tentiamo la discesa questa volta seguendo proprio tutto il sentiero il primo albero che incontro è il secondo esemplare che vedo e non ne conosco il nome italiano si tratta di un Dyospiros Virginiana (12) una ebenacea che produce dei frutti simili al kako ma di dimensioni più simili ad una grossa ciliegia, pur essendo commestibile si consiglia di mangiare il frutto soltanto dopo qualche gelata; altra pianta che vedo scendendo è quella di un Giaggiolo sambucina (Iris x sambucina) (13), ha patito per la pioggia eccessiva, la x fra i 2 termini latini indica che si tratta di un fiore esistente solo per intervento dell’uomo; ecco però spuntare su terreno roccioso un Camedrio comune (Teucriun chamaedrys) (14) la delicata lamiacea comune nei nostri boschi e pianta che fornisce alimento ad alcuni Orobanche che essendo privi di clorofilla devono dipendere da chi e ha; infine ritrovo una pianta di Spirea con foglie di salice (Spirea salicifolia) (15) una rosacea importata anni fa per abbellire i giardini ma che nel tempo si è naturalizzata diffusa nei nostri boschi, da ultimo decido di fotografare la Borracina reptante (Sedum sarmentosum) (16) anche questa crassulacea originaria dall’Asia si è naturalizzata anche da noi.
Teresio Colombo
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