Brucia il “faro” di San Vittore in una basilica deserta

La tradizionale cerimonia solenne officiata da monsignor Panighetti. Il sindaco e i gonfaloni presenti a rappresentare la città

La celebrazione \"a porte chiuse\" di San Vittore

«L’odierna festività di san Vittore si colloca in un tempo molto faticoso e drammatico dovuto all’emergenza sanitaria che così crudelmente si è abbattuta sul nostro Paese come in tanti altri con estensione globale, in modo pervasivo e subdolo, senza confini geografici o sociali».

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La celebrazione “a porte chiuse” di San Vittore 4 di 7

Comincia così l’omelia di monsignor Luigi Panighetti, che in una basilica deserta ha celebrato la messa in onore di San Vittore Martire, il patrono di Varese la cui ricorrenza cade l’8 maggio. Una cerimonia per forza di cose inedita, a porte chiuse per via del coronavirus: a rappresentare la città il sindaco Davide Galimberti che ha indossato la fascia tricolore, i gagliardetti delle castellanze che compongono la municipalità e il gonfalone della Famiglia Bosina.

Nel corso della celebrazione si è svolta anche il tradizionale rito del faro, ovvero l’accensione di un globo appeso di fronte all’altare che caratterizza ogni anno la messa solenne di San Vittore. Annullato ovviamente il corteo, altro momento tipico di questa festività.
Di seguito riportiamo l’omelia integrale di Monsignor Panighetti:

«L’odierna festività di san Vittore si colloca in un tempo molto faticoso e drammatico dovuto all’emergenza sanitaria che così crudelmente si è abbattuta sul nostro Paese come in tanti altri con estensione globale, in modo pervasivo e subdolo, senza confini geografici o sociali. In questi mesi molte sono state le domande non solo nel tentativo di dare una risposta medico-scientifica alla dura contingenza, ma anche risposte sociali ed economiche.
In fondo al cuore di ciascuno di noi vi è però l’interrogativo fondamentale che abbiamo e stiamo coltivando.
È la domanda di senso: sulla vita, sulla morte, sulla sofferenza, sulle relazioni. Dimensioni aggredite e brutalizzate dalla pandemia che ci ha colpito. Ci sentiamo frastornati e disorientati: eppure è necessario non semplicemente subire gli eventi, bensì rimanervi dentro per discernere, cioè per leggerli nel loro senso profondo. Riferisce il Vangelo riguardo a Gesù: «Diceva ancora alle folle: “Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade.
E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. 
Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”» .
Dio non manda disgrazie, neppure le permette per educarci, piuttosto – in questa realtà terrena imperfetta e limitata – siamo chiamati a compiere un discernimento per coglierle come occasioni «favorevoli» su noi stessi e sul mondo.
In altre parole nella situazione angosciata che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo Dio ci dà fiducia perché responsabilmente e coerentemente agiamo.
Nell’ambito della prospettiva accennata s’impone il tema del «bene comune», cioè il bene dell’uomo in quanto uomo.
La sensibilità per il bene comune è compito da coltivare da parte di tutti.
Nelle vicende presenti abbiamo assistito ad interpretazioni radicalmente diverse in merito: alcuni hanno messo tutto se stessi – non solo la propria professionalità – perché fosse garantito il bene possibile in quel contesto; altri hanno gestito con sorprendente superficialità una emergenza spaventosa dimenticandosi che da loro comportamenti derivava un bene oppure un male più grande per tutti.
Occorre amare la «Polis» impegnandosi a costruire una comunità di persone capaci di vivere in modo pieno la loro cittadinanza in uno scambio di relazioni personali, solidali, profonde.
Ecco la «questione politica» cioè la questione che attiene alla Città, fatta da persone legate da una oggettiva interdipendenza e collaborazione.
Questione politica è riconoscere una grammatica del civile, della convivenza sostenibile, è delineare alcune regole a favore di un dialogo fruttuoso tra tutti, credenti e non credenti.
Il compito grande che ci attende consiste nel saper connettere con metodo e pazienza le diverse esperienze che garantiscono la persona creando il bene comune.
I cristiani non possono e non devono ritenersi estranei alla vita della “polis” ma esercitano la propria responsabilità personale individualmente o con altri dentro un discernimento comunitario che sappia esprimere valutazioni equilibrate e coerenti.
Nella nostra realtà l’iniziativa “Lettera alla Città” vuole essere un modesto passo in questa direzione.
A tale proposito ricordo con gratitudine la passione e l’intelligenza posta dal professor GianPaolo Cottini quando l’iniziativa muoveva i primi passi: a lui molto dobbiamo.
L’intera comunità è chiamata ad educarsi alla fatica del discernimento: discutere senza lacerarsi, giudicare senza semplificare, scegliere senza assolutizzare, uscire da luoghi comuni.
Nella logica della costruzione del bene comune dobbiamo consolidare la convinzione che la pluralità delle scelte e delle posizioni politiche interne al mondo ecclesiale possa rappresentare una ricchezza e non una difficoltà.
Risulta infatti sempre più essenziale la efficace collaborazione tra persone, società civile ed istituzioni. I luoghi nei quali coltivare questo progetto stanno in basso: nelle parrocchie, nei movimenti civili, nei gruppi di volontariato laico.
Affinché ciò avvenga è necessario che laici cattolici abbiano un’identità salda e chiara, che sappiano dialogare con tutti e si assumano la responsabilità di rispondere alle attese dei più fragili.
Il modo nuovo di guardare alla polis potrà contribuire ad elevare il livello dell’attuale offerta politica.
Dato il contesto è urgente ritrovarsi tra gli uomini di buona volontà per ricercare quel “terreno comune” indispensabile al vivere sociale.
La pesante crisi presente chiede competenza e discernimento per cogliere le vere priorità per il Paese e i cittadini.
A tutti è chiesto di capire cosa sia necessario e cosa è superfluo.
Segnalo due temi che ritengo rilevanti.

A) Certamente si profila una schiera di persone che fino a ieri se la cavavano, precari, lavoratori in nero, dipendenti licenziati che ora avvertono serie difficoltà. Coloro che hanno responsabilità politiche ed amministrative devono adoperarsi fornendo mezzi e strumenti per consentire a tutti una vita dignitosa.
Come è stato autorevolmente richiamato questo non è il tempo degli egoismi: la sfida è troppo alta. Occorre spirito di solidarietà e compattezza per trovare le soluzioni adeguate. Non ci possiamo permettere divisioni, particolarismi o soggettivismi, indifferenza. I cittadini vanno trattati con rispetto e vigilare perché tale rispetto sia assicurato da parte di ogni struttura dell’amministrazione.
Si tratterà di avere una cura particolare per il mantenimento e l’ampliamento di politiche sociali tali da evitare la crescita di aree sempre più cospicue di emarginazione. Lo sforzo in questione sarà più concreto se ci si avvarrà del principio di sussidiarietà che riconosca, sostenga e coordini le opere e i servizi promossi dal volontariato e dai vari organismi della società civile.
Le dimensioni del problema sono ampie anche perché il lavoro pure quando non manca è spesso precario e temporaneo.
Sono necessarie misure di aiuto a famiglie ed imprese che possano proteggere tutti, soprattutto le categorie meno tutelate.
Ai poveri di prima si aggiungono quei nuclei familiari che hanno perso o rischiano di perdere la fonte di sostentamento.
Nella difficile realtà con cui ci confrontiamo siamo chiamati a calare nella città i diritti personali fondamentali.

B) Il gruppo «Lettera alla Città» in questi mesi ha richiamato l’attenzione sul tema dell’educazione. Io stesso ne ho sottolineato la priorità più volte. A tale proposito è opportuno rilevare il ruolo centrale della Scuola.
La Scuola rappresenta una risorsa prioritaria del Paese che sta a cuore ai Cittadini, alle Famiglie, alla Chiesa.
Va sostenuto il suo impegno di custodire e sviluppare, elaborare e trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio di conoscenza che ci è consegnato per ordinare il futuro.
In Italia da circa vent’anni per una legge dello Stato che ha riconosciuto la bontà di una visione pluralista la Scuola Pubblica si esprime attraverso la Scuola Statale e quella Paritaria. Purtroppo tale orientamento non è ancora riuscito a smuovere pregiudizi in particolare contro la scuola cattolica o di ispirazione cristiana.
La raggiunta parità giuridica con la legge Berlinguer del 2000 non è mai stata affiancata da provvedimenti economici che ne dessero piena ed effettiva attuazione, cioè che garantissero il reale diritto di scelta alle Famiglie.
Oggi la questione è particolarmente seria poiché ne va della progressiva chiusura della maggioranza delle Scuole non statali e in particolare dell’infanzia a causa del crescere insostenibile di spese per il personale e la gestione.
Il valore del principio di sussidiarietà rimane tale anche in riferimento alla scuola ed è prezioso un sistema integrato che inevitabilmente diventa ricchezza per l’intera Società.
Se la scuola cattolica chiuderà ne soffriranno i principi di democrazia cui tanto teniamo, senza dire delle problematiche ricadute organizzative ed economiche sullo Stato.
Auspico che il dibattito circa il «costo standard» per alunno possa segnare passi in avanti per una effettiva libertà educativa.

Circa 1800 anni fa dava indicazioni precise la «Lettera a Diogneto» secondo cui i cristiani sono come gli altri e vivono nella città degli altri, con gli stessi doveri; ma non devono lasciarsi assimilare e consegnarsi allo «spirito del tempo».
Quei moniti risultano di stringente attualità: ci aiutano a ribadire i presupposti etici e culturali in grado di progettare una società solidale capace di una «rete» efficace che non lasci solo nessuno ed esprima un autentico senso di vicinanza civica».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 10 Maggio 2020
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