Nel processo Aspem Reti Caianiello in aula racconta del legame fra Forza Italia e Agorà
L’ex “dominus“ degli azzurri in provincia si dice estraneo ad ogni attività di gestione dell’associazione politica Agorà, dove arrivavano bonifici dell’impresa che eseguì i lavori alla Schiranna
«Un legame forte destinato a coinvolgere tutti i moderati che non volendo iscriversi direttamente al partito facevano riferimento ai valori del Partito popolare europeo, partecipavano a iniziative, cene, ritrovi dell’associazione “Agorà Liberi e forti”». E che tuttavia «attraverso libere dazioni, sostenevano l’affitto dei locali varesini dove trovava posto anche la sede di Forza Italia: un meccanismo che cioè serviva a sostenere il partito. Agorà percepiva “la decima“ dagli iscritti a Forza Italia sia per sostenere Agorà stessa, sia per attività proprie di Forza Italia: erano gli unici sostentamenti».
È quanto emerso nel processo “Aspem Reti” durante l’udienza di giovedì in cui oltre ai tecnici incaricati di effettuare la “due diligence“ sulla municipalizzata in seguito alla vittoria elettorale del Centrosinistra, nel 2016, hanno parlato anche i politici: le affermazioni appena sopra sono state pronunciate da Giocchino “Nino” Caianiello, 65 anni, ras incontrastato di Forza Italia finito nell’inchiesta “Mensa dei poveri” come il dominus incontrastato di quel sistema di retrocessioni in denaro che sono alla base della tesi accusatoria di quel processo. Così, mentre il presidente della Regione Attilio Fontana, chiamato come teste dalla parte civile (il Comune di Varese) ha spiegato l’assenza di scompensi contabili nei bilanci della municipalizzata in house Aspem Reti – dove i pm varesini ipotizzano vi sia stata, fra gli altri reati, truffa ai danni della municipalizzata stessa e quindi del Comune – , Caianiello è stato interrogato e ha risposto più sul fronte delle relazioni politiche fra Aspem Reti e i partiti.
«Non ho nominato io Ciro Calemme come amministratore di Aspem Reti: certo ho espresso al sindaco Fontana il mio gradimento per Ciro, amico di vecchia data, ma la decisione è stata presa dal centrodestra varesino». Ma perché Caianiello e Fontana vengono chiamati a testimoniare in un processo per truffa e abuso d’ufficio? Perché il legale di parte civile Marco Lacchin ha voluto indagare sui rapporti fra i soldi che uscivano da Aspem Reti a seguito dei lavori nel biennio 2014-2016 per la ristrutturazione di parte dell’immobile. Più che la prova dei reati contestati, sembra che la parte civile volesse evidenziare una sorta di «movente» di quelle uscite di danaro da Aspem Reti che arrivavano alla ditta Sciretta, esecutrice dei lavori alle piscine della Schiranna e che, una volta incamerati nei conti dell’impresa, venivano in parte “bonificati“ al conto di Agorà (come emerso anche nel corso della precedente udienza).
Quindi? «Quindi io ero presidente onorario di Agorà, e non gestivo in alcun modo i conti correnti del movimento, che venivano gestiti da altri amministratori», ha spiegato Caianiello sul punto. Ricapitolando: Caianiello ha detto di non aver nominato Ciro Calemme (oggi imputato) ai vertici di Aspem Reti, e non gestiva i conti di Agorà, dove parte dei soldi in uscita dalla stessa Aspem Reti come saldo fatture emesse dalla S.G. di Matteo Sciretta arrivavano (esempio: accredito nei conti della ditta di 20 mila euro pochi giorni prima della partenza di un bonifico per 3500 euro ad Agorà), anche se naturalmente non è provato un meccanismo automatico, una consequenzialità. In merito ai contatti fra Caianiello e l’imprenditore Sciretta, sul punto il primo ha affermato di aver conosciuto il secondo in una delle chat di tifosi del Napoli «visto che abbiamo entrambi origini partenopee». Caianiello dopo aver conosciuto scritta è stato assunto dall’imprenditore, ma solo a tempo determinato, una sorta di lavoro a chiamata per una commessa legata ad un subappalto, commessa poi sfumata: «Ho ricevuto una sola mensilità per quel lavoro».
Caianiello, interrogato sul punto ha spiegato di non conoscere neppure il terzo imputato di questo processo, cioè il direttore dei lavori Giacomo Battiston (a cui vengono contestate la truffa in concorso con Calemme, mentre all’ingegner Battiston la “falsità ideologica” per le certificazioni che attesterebbero la corretta esecuzione dei lavori contestati, mentre a Matteo Sciretta la truffa in concorso con gli altri due imputati). «No, non lo conoscevo, non so chi sia».
E proprio il difensore di Battiston, l’avvocato Stefano Besani, alla conclusione dell’esame ha fatto una domanda secca: «Conosce Davide Galimberti?». La risposta pronunciata in aula svela altri retroscena politici a prima vista inediti. «Ciro Calemme mi cito’ l’avvocato Davide Galimberti e me ne aveva magnificato le competenze professionali, e mi disse che fosse una figura spendibile per il Centodestra. Mi recai presso lo studio di Galimberti per un colloquio sia per conoscenza sia per sondare sua disponibilità per candidarsi come sindaco di Forza Italia nel Centrodestra, un fatto che però sarebbe stato difficile far digerire alla Lega. È stato un colloquio piacevole e mi fece una buona impressione. Quando Calemme mi chiese di Galimberti gli dissi che secondo me non avrebbe accettato: gli dissi che ci saremmo sentiti, ma non avvenne più perché dopo un paio di mesi scoprimmo che Davide Galimberti era il candidato del Centrosinistra».
Il processo seguirà con una calendarizzazione serrata che porterà alla discussione e quindi alla sentenza nel prossimo novembre, anche alla luce del fatto che la maggior parte di quanto contestato nel capo d’imputazione va in prescrizione a giugno 2024.
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