Far “respirare” la terra per ridurre i danni da alluvioni e frane
Da decenni la Lombardia non è investita da eventi paragonabili, per intensità e durata, a quello che ha colpito la Romagna. Legambiente: "Ma non abbiamo ancora iniziato a riprogettare gli spazi urbani per aumentarne la sicurezza"
«Ben venga il dibattito su consumo e uso del suolo, dopo i tragici eventi alluvionali che hanno colpito l’Emilia-Romagna: si tratta sicuramente di un tema estremamente rilevante anche per la Lombardia, dove l’urbanizzazione si concentra proprio nelle fasce pedemontane, cioè dove i corsi d’acqua rallentano il loro deflusso reclamando spazio per l’espansione delle piene e la sedimentazione dei materiali trasportati da monte» lo dice Legambiente Lombardia, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, che si celebra il 5 giugno.
«La Pianura Padana è una piana alluvionale, da sempre formata e modellata dalle alluvioni» spiega Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. «Alluvioni e colate detritiche non sono di per sé eventi catastrofici, ma la normalità del nostro sistema territoriale: il fatto che non avvengano con regolarità e tutti gli anni nello stesso posto non ci autorizza a far finta che non possano accadere ovunque e in qualsiasi momento».
Succede da sempre, non siamo quindi neanche all’anno zero: la mappatura delle zone a rischio alluvionale e di frana è disponibile e i piani urbanistici devono verificare per tempo le proprie previsioni in rapporto alla componente geologica. Alla luce del fatto che gli eventi estremi si stanno moltiplicando e aumentando di intensità, abbattendosi su un territorio più fragile perché irrigidito da urbanizzazioni e infrastrutture sempre più pervasive, ciò non basta più.
La precarietà del nostro territorio viene ripercorsa dai numeri del rapporto CittàClima di Legambiente che, per il periodo 2010-2023, elenca un vero e proprio stillicidio di disastri in Lombardia: 174 eventi meteo-idro con danni, 13 vittime, 47 allagamenti da piogge intense, 47 danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 27 esondazioni fluviali, 20 eventi con danni da siccità prolungata, 10 con danni alle infrastrutture, 9 con danni da grandinate, 9 frane da piogge intense
Secondo i dati raccolti da CittàClima, nel 2022 la Lombardia è stata la regione in testa alla classifica italiana del totale degli eventi estremi registrati, con nove unità; nel primo semestre del 2023 se ne contano già otto
Aree sempre più ampie, in particolare nella metropoli milanese, risultano talmente dense e compatte da aver modificato radicalmente la risposta idrologica del territorio, avendo impermeabilizzato alte percentuali di superfici e azzerato l’assorbimento dell’acqua da parte di suolo e vegetazioni.
Le cose non vanno tanto meglio nelle zone collinari e montane, divise tra abbandono di aree coltivate e intensificazione delle pratiche agricole, con conseguente perdita del reticolo minuto di opere per la gestione delle acque e dei versanti.
La Lombardia degli ultimi decenni è stata relativamente fortunata: dall’alluvione della Valtellina nel 1987 non si sono più verificati eventi piovosi paragonabili, per intensità e durata, a quelli abbattutisi in Romagna lo scorso maggio. Perdere la memoria degli eventi catastrofici genera però un senso di sicurezza mal riposto, se ci si riferisce a fenomeni che possono avere ‘tempi di latenza’ di svariati decenni.
La città più colpita è Milano con 30 eventi (di cui 19 esondazioni), mentre le province più colpite sono, nell’ordine, per numero di eventi: Milano 44, Varese 29, Brescia 16, Bergamo 15, Como 14, Cremona 13, Lecco 10, Monza e Brianza 10, Pavia 9, Mantova 6, Lodi 4, Sondrio 4.
Stiamo bruciando la “pelle” della Terra. Ed è un grosso problema, soprattutto in Lombardia
«I dati di CittàClima confermano la grande fragilità del territorio metropolitano e pedemontano lombardo» commenta Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia. «Oltre a dire stop al consumo di suolo, che ancora imperversa soprattutto in pianura, sotto la spinta delle recenti grandi opere stradali, occorre ripensare e dove possibile decostruire le superfici urbanizzate, in direzione di una maggiore sicurezza e sostenibilità».
«Nuove opere ingegneristiche, come canali scolmatori o vasche impermeabili, possono sicuramente aiutare a limitare gli effetti delle alluvioni, ma sono condannate a diventare rapidamente obsolete e insufficienti, se contestualmente non si inverte l’artificializzazione del territorio. Ci vuole un cambiamento di approccio: puntare al ripristino della piena funzionalità del sistema idrografico, eliminando le strozzature artificiali e le tombinature dei corsi d’acqua, restituendo ai fiumi gli spazi di loro pertinenza e al suolo la propria permeabilità».
Si tratta delle cosiddette nature based solutions, soluzioni progettuali che mettano in valore le funzioni che il suolo e la sua copertura vegetale possono svolgere, sia nel favorire l’infiltrazione sia nel rallentare il deflusso delle acque.
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