“I giovani hanno tanto da insegnarci”: sul palco di Varese la festa di Tormento per i suoi 50 anni
Dai successi dei Sottotono a La mia parola. IL campo dei Gorillas di San Fermo si è trasformato in una cattedrale hip hop. Alla maratona del Rock the Jungle anche Otierre, Mofo e Big Bang Family. L'intervista a Tormento
Tormento ha festeggiato i suoi cinquant’anni sul palco della sua città, Varese, trasformando il campo da football americano dei Gorillas di San Fermo in una cattedrale dell’hip hop.
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Grazie all’organizzazione di Blackandblue, al supporto di Tumiturbi e della stessa associazione sportiva, domenica 7 settembre il pubblico ha infatti risposto numeroso e partecipe alla lunga maratona musicale del Rock the Jungle. Nel nome del rap, anche quest’anno il festival della cultura afroamericana ha unito generazioni, sonorità e storie: in apertura i varesini Mofo e gli svizzeri Big Bang Family hanno scaldato il palco, poi sono arrivati due nomi che hanno scritto pagine fondamentali del rap italiano, e molto legati a Varese. Gli Otierre – con Esa, Polare e Vigor – e Tormento, accompagnato da DJ Promo L’Inverso, hanno guidato una serata che ha attraversato trent’anni di beat, funk e Rap di qualità: da La mia Coccinella dei tempi dei Sottotono a La mia parola, brano in gara quest’anno a Sanremo insieme a Shablo, Guè e Joshua.
Pochi minuti prima dell’inizio del festival, Tormento (Massimiliano Cellamaro) ci ha raccontato l’emozione di questa giornata speciale e il suo sguardo sul presente e sul futuro del rap.
Ciao Tormento: prima di tutto auguri! Ieri (sabato 6 settembre) è stato il tuo cinquantesimo compleanno, una giornata speciale che abbiamo visto festeggiata anche qui, tra regali e pensieri dei fan.
Sì, davvero carinissimi. In realtà molti sono amici che vengono spesso ai live, e già solo il loro affetto sarebbe bastato. Oggi poi sono arrivati anche tanti compagni di scuola: un momento incredibile.
Un momento incredibile in un anno davvero importante, che ti ha portato anche a Sanremo. È stato un bel momento per l’hip-hop italiano: ti va di fare un bilancio di questo anno musicale così intenso?
Devo ringraziare Shablo: circa due anni fa ho fatto un featuring nel disco di Guè, da lì abbiamo iniziato a lavorare assieme e ho partecipato anche al suo album Manifesto, un progetto corale a cui abbiamo messo tutti il cuore. Lui ha orchestrato un po’ tutto, anche Sanremo e l’idea di portare Neffa nella serata delle cover, con me, Guè e lui: quattro generazioni di hip hop italiano sullo stesso palco. Shablo è davvero un Re Mida: tutto quello che tocca brilla.
Il Rock the Jungle è una festa della cultura hip hop. Vuoi mandare un messaggio alle nuove generazioni?
È bello che i ragazzi scoprano il rap “pre-internet”, quando avevamo poche videocamere e quindi poche testimonianze. Ma quello che mi colpisce è quanto i giovani abbiano da insegnarci: vivono inchiodati nel presente, con lo sguardo verso il futuro, mentre noi adulti restiamo più legati al passato.
Stasera sul palco ci sono anche gli Otierre con tuo fratello Esa: che ruolo ha avuto per te e per Varese?
Esa è stato il mio maestro, e non solo il mio. Io ero piccolino quando lui, nel 1992-93, portava in tv gli Otierre, la Pina, il rap italiano agli inizi. Ci siamo inventati come farlo: chi ha cominciato prima, come lui, ha trovato le chiavi che sono servite a tutti noi.
A proposito di Esa: prima, durante il sound check, abbiamo visto DJ Vigor con una maglietta di Siamesi Brothers. Che ricordi hai di quel disco con lui?
Un bellissimo progetto. È stato un periodo fantastico. Andavamo spesso ad Amsterdam, dove viveva Shablo, innamorato delle sonorità underground. Siamesi Brothers è proprio un viaggio nell’hip hop più sperimentale, sia nei testi che nei beat, per vedere fino a dove si poteva arrivare.
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