Innovazione e prodotto: le grandi marche ai tempi della crisi

Dati interessanti quelli presentati da Centromarca. L'italiano resta affezionato come nessun altro in Europa al prodotto "griffato", ma la crisi di redditi e consumi è pesante, e la grande distribuzione la avverte già dal 2004. "Abbassare i prezzi non è la soluzione"

La marca, il prodotto, il brand; l’innovazione, la ricerca costante dell’elemento nuovo, di forma o "di sostanza", che ti dà quel vantaggio competitivo in più, che ti "cattura" il cliente. È l’eterna battaglia dell’economia, qualla raccontata mercoledì agli studenti dell’Università Cattaneo-Liuc di Castellanza nell’incontro su "Innovazione e sviluppo del prodotto" promosso in colaborazione con Centromarca e che ha visto le testimonianze di dirigenti di importanti gruppi (Henkel, renault Trucks Lavazza, Kraft).
Centromarca, l’associazione italiana dell’industria di marca, esiste dal 1965: vi aderiscono 192 aziende tra le più importanti attive nei diversi settori dei beni di consumo immediato e durevole (alimentare, chimico per la casa e per la persona, tessile, elettrico, bricolage, giocattolo, home entertainment) per circa 50 miliardi di euro di fatturato, ossia i due terzi del mercato dei beni di largo consumo in Italia. La sua attività è focalizzata su tre aree: politiche commerciali, politiche del consumatore, studi e ricerche. Centromarca aderisce ad AIM, l’associazione europea dell’industria di marca.

Una battaglia senza fine, quella per innovare i prodotti, che come ricorda la professoressa Carolina Guerini, docente dell’ateneo castellanzese voluto da Univa, si basa sulla triade metodo-risorse-marketing; dalle idee vincenti al recupero dei fondi necessari per tradurle in atto, fino alla pubblicizzazione. E la pubblicità deve avere una gran presa sugli italiani, se andiamo ad interpretare alcune delle conclusioni dell’interveto centrale, affidato al direttore del centro studi di Centromarca, Roberto Bucaneve. Uno dei dati più interessati è quello sul rapporto, in Europa, fra le "grandi firme" del mercato e le cosiddette "private label", che consentono un risparmio al consumatore, la distanza è ancora notevolissima: in Italia le ultime sono cresciute solo dal 12 al 15% del mercato da 2004 al 2010, mentre in Gran Bretgna toccano il 42%, in Spagna e Germania il 31%. Le grandi marche nel pieno di una crisi pesante sono quasi in controtendenza: tengono, cedendo solo dal 60 al 55% del mercato, e «sono associate nelle percezione generale alla qualità del prodotto». Abitudine, effettivo apprezzamento, bombardamento pubblicitario: quale che sia la causa, l’italiano medio resta una manna per la grande marca.
Eppure siamo in tempi di crisi e la relazione di Bucaneve, in questo, non è equivoca: la crisi, in realtà, c’è fin dal 2004 per la grande distribuzione. Che nel frattempo, però, ha schiacciato il commercio di vicinato. In questo contesto, in Europa l’Italia è il Paese che cresce meno, a parte il caso della Spagna in piena recessione (dopo però il grande sviluppo del decennio precedente la crisi). I consumi degli italiani sono inchiodati, gli investimenti segnano il passo, la fiducia dei consumatori è al minimo, «ed è un dato straordinariamente predittivo sui consumi», che bassi sono e quindi bassi resteranno. Del resto con una crisi da trecentomila posti di lavoro persi, come cita Bucaneve, c’è poco da ridere; tanto più che «negli ultimi vent’anni il reddito reale delle famiglie è continuamente diminuito». Nel ventennio sono anche molto cambiate le spese degli italiani, che hanno visto impennarsi dal 1991 al 2009 le spese "obbligate" per servizi e tariffe, settori protetti senza vera concorrenza, fino 43% del totale, mentre cedevano dal 38 al 24% i consumi del tipo di cui si occupa Centromarca e ne crescevano altri più di tipo voluttuario o da tempo libero. Sui prezzi, nel 2003-2009 a un +12,7% di inflazione cumulativa facevano riscontro un +6,5% nel settore dei beni di largo consumo e un +23% di tariffe sui servizi – fate voi. «Servono le liberalizzazioni» la conclusione. Forse, serve un po’ più d’onestà, e un po’ meno rendite di posizione.

Fra gli altri dati interessati citati dalle slide presentate, l’allinearsi progressivo ed eveidente, con la crisi dal 2007 in avanti, tra valore e volumi degli acquisti, con il primo a scendere, segno dell’acquisto in massa di beni di minor costo e pregio. Se la grande distribuzione "piange" ocoi suoi piccoli "meno" atnnuali, alcuni settori dei supermercati tengono, e i discount prima della crisi si stavano prendendo una discreta fetta dei mercati: poi la crisi ha mandato "sotto" perfino loro. Attenzione, però, avvertiva il direttore del centro studi di Centromarca, a non cadere nella trappola di basare tutto sulla competitività dei prezzi. I dati dicono che il consumatore è pronto a pagare "il giusto" per un prodotto che reputa di buona o ottima qualità; ma anche che la politica dei prezzi bassi e delle promozioni a tutto spiano non serve, non aumenta gli acquisti: «serve per la concorrenza, ma è una leva che distrugge valore invece di crearlo», in un circolo vizioso. Una provocazione, forse, ma anche un elemento su cui riflettere.

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Pubblicato il 10 Novembre 2010
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