Sandy Cane: “Frontalieri, non andate al lavoro”
Il sindaco leghista del comune di frontiera critica aspramente il blocco parziale dei ristorni. «Mi verrebbe voglia di dire ai miei 950 concittadini frontalieri , che si fanno un culo così, di non presentarsi domani al lavoro e di darsi per malati»
«E che cosa gli fai, gli spari?». Sandy Cane, sindaco leghista di Viggiù, la cattiva notizia del blocco parziale dei ristorni l’ha ricevuta tramite sms da un amico ticinese.
«Mi verrebbe voglia di dire ai miei 950 concittadini frontalieri, che si fanno un culo così, di non presentarsi domani mattina al lavoro e di darsi per malati. Mi sembra che uno di quelli che ha sollevato il problema dei ristorni ha dei dipendenti frontalieri italiani. Voglio vedere cosa fanno».
«Mi verrebbe voglia di dire ai miei 950 concittadini frontalieri, che si fanno un culo così, di non presentarsi domani mattina al lavoro e di darsi per malati. Mi sembra che uno di quelli che ha sollevato il problema dei ristorni ha dei dipendenti frontalieri italiani. Voglio vedere cosa fanno».
Il primo cittadino di Viggiù è preoccupato non solo per il bilancio del suo comune, ma per tutta l’economia del territorio. «Senza i ristorni, noi, come gli altri comuni di frontiera, chiudiamo – continua Cane – perché non abbiamo altre entrate e non possiamo sfruttare ulteriormente altre leve. Cosa faccio: aumento la tassa sui rifiuti o la differenziata, che sono già care? Aumento l’addizionale irpef comunale? Già adesso, che i soldi dei ristorni arrivavano in ritardo di mesi, si facevano i salti mortali e dovevi scegliere quali fornitori pagare prima. Ora io non me la sento di decretare il fallimento di qualcuno perché qualcun altro non mi paga quello che mi deve. E poi c’è anche la manovra finanziaria che complica tutto per i comuni».
La decisione della Svizzera non l’ha però colta di sorpresa, perché, secondo Cane, c’erano altri segnali. «Gli accordi sono accordi. Ma come si fanno, così si disfano. Che qualcosa sia cambiato però nei nostri rapporti con la Svizzera è evidente, perché anche sui progetti Interreg iniziano a dirci di no, nonostante gli si portino dei vantaggi economici. Il rischio ora è che quei due o tre che hanno sostenuto quel provvidemento, una volta a Berna, convincano anche tutti gli altri».
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