Cosa fare per permettere alle persone di lavorare al meglio

I risultati della ricerca condotta da Università Carlo Cattaneo – LIUC e London Business School

Come si fa ad avere persone motivate? Che ruolo giocano i capi gerarchici ed i vertici aziendali? Quali sono gli elementi a cui i collaboratori danno più valore? Cosa temono di più? Come dovrebbero comportarsi i capi per gestire meglio i propri collaboratori?

A queste ed altre domande cerca di dare una risposta la ricerca internazionale dal titolo “Engagement Research: cosa fare per permettere alle persone di lavorare al meglio”, condotta dal CeRCA – Centro di Ricerca sul Cambiamento e Apprendimento Organizzativo dell’Università Carlo Cattaneo – LIUC in partnership con la London Business School (tramite il prof. Julian Birkinshaw).

Alla luce dell’attualità del tema (solo 1 dipendente su 3 nel mondo è engaged), il CeRCA della LIUC (che ha come scopo principale quello di aiutare le aziende partner del centro a conseguire di un più elevato livello di performance), ha sviluppato un’analisi dei dati raccolti alla base di questa “definizione” di engagement: “Una persona è engaged quando è fisicamente, intellettualmente ed emotivamente attaccata al proprio lavoro e all’azienda per cui lavora”.

La ricerca, durata un anno e chiusa nel mese di dicembre 2011, è stata strutturata in una serie di interviste (50 in 6 aziende inglesi di settori e dimensioni differenti, tra cui manifatturiero, servizi, industria, education, rivolte a impiegati/quadri, ai loro diretti responsabili ed ai Senior Executive) e in un assessment on line (un questionario al quale hanno risposto 1.593 operai, impiegati, quadri e dirigenti di aziende provenienti da differenti settori e paesi. Di questi 1.373 italiani e 220 inglesi).
L’interesse della ricerca internazionale si è concentrato sulla popolazione aziendale degli operai ed impiegati con un medio/basso livello di responsabilità ed un altrettanto medio/basso livello di retribuzione. A livello italiano si è voluto poi estendere questa ricerca anche a livelli aziendali più alti per responsabilità e ruolo, coinvolgendo nella rilevazione anche quadri e dirigenti (372 soggetti), analizzandoli separatamente dal campione di interesse internazionale.
La ricerca italiana ha coinvolto 1.071 operai ed impiegati appartenenti ad aziende di settori e dimensioni differenti, offrendo così la possibilità di avere un campione variegato e diversificato.
Queste le aziende coinvolte: Unicredit Group, Epson Italia, MapaSpontex, Acraf, Isem Group, Magazzini Gabrielli.

Nel dettaglio il campione è composto da persone che svolgono ruoli quali call center, back office, addetti al magazzino, alla produzione, alla reception, macchinisti, ecc, dove l’81% sono impiegati ed il restante 19% operai; vi è una leggera maggioranza di uomini (51%) rispetto alle donne (49%); l’età anagrafica dei partecipanti si concentra principalmente nella fascia d’età dai 30 ai 45 anni con il 62%, mentre nelle due fasce d’età (dai 20 ai 29 anni e oltre i 46 anni) estreme si hanno percentuali inferiori.

Dopo aver analizzato i risultati emersi sugli elementi costitutivi dell’engagement (uno su tutti, la consapevolezza delle persone che lavorano in azienda di ciò che ci si aspetta da loro), è stato possibile quantificare il valore del livello di engagement su una scala da 0 a 100 punti individuando tre livelli.
Da 0 a 39, basso (identifica una persona disengaged, che non mostra alcun coinvolgimento per la propria azienda, che non è in sintonia con essa); da 40 a 79, medio (delinea un collaboratore moderately engaged, che non mostra né un attaccamento incondizionato all’azienda, né un disinteressamento completo nei suoi confronti); da 80 a 100, alto (individua un soggetto highly engaged, che attraverso il suo coinvolgimento fisico, intellettuale ed emotivo mostra un completo allineamento con la propria azienda). Il campione analizzato ha evidenziato un livello d’engagement medio di 72,65 punti, con un 38,84% di persone highly engaged, 58,73% moderately engaged e solamente un 2,43% di persone disengaged.

Si può notare che tra gli operai c’è una maggiore presenza di soggetti (63,77%) moderately engaged, rispetto agli impiegati (57,52%); in entrambi i campioni circa 2 persone su 5 sono highly engaged e meno di 1 su 5 è disengaged. Anche i valori medi sono molto simili, infatti gli impiegati hanno un livello medio di engagement di 72,90 appena superiore a quello degli impiegati (71,64).

Dall’elenco degli elementi motivanti sul lavoro, emerge prima di tutto il bisogno di sicurezza, a fronte dell’attuale situazione economico-finanziaria che è caratterizzata da insicurezza e instabilità. Queste le tre risposte risultate più importanti:

Sicurezza del posto di lavoro (posto fisso)
Una vita lavorativa e privata bilanciata
Riconoscimento per il mio contributo

E ancora, tra le paure (analizzate in quanto un altro modo di capire cosa motiva le persone è comprendere cosa genera in loro preoccupazione), in testa proprio quella di perdere il posto.

Paura di perdere il lavoro
Mancanza di opportunità di sviluppo e avanzamento professionale
Mancanza di chiarezza circa i risultati, la strategia e la visione aziendali

Tra quelli che sono dichiarati invece come punti di forza dei collaboratori, secondo una percezione personale, le prime competenze sono:

La capacità di collaborare con i colleghi del proprio dipartimento/gruppo di lavoro
Eseguire gli ordini accuratamente e diligentemente
Completare i compiti in tempo o in anticipo sui tempi

E ancora, sulle competenze dei capi gerarchici:

È sempre disponibile ad ascoltarmi/parlarmi quando ho bisogno di un suggerimento
È in grado di offrirmi supporto nello svolgimento del mio lavoro quando ne ho necessità
Lavora sodo/si impegna a fondo per far combaciare i compiti lavorativi con gli interessi e le competenze dei collaboratori

Un dato interessante emerge dal calcolo del Net Management Promoter Score (NMPS). Si tratta di un metodo utilizzato nel marketing per misurare il livello di soddisfazione dei propri clienti e misura il cosiddetto “tasso di passaparola”. Si calcola ponendo ai clienti la seguente domanda: “Raccomanderesti questo prodotto/azienda/servizio/ ecc. ad un vostro amico, collega o parente?”. La risposta più o meno positiva a questa domanda rappresenta il valore percepito del prodotto/servizio in questione. Il metodo è stato applicato alla relazione capo – collaboratore, chiedendo alle persone coinvolte nella ricerca: “Quanto è probabile che tu raccomandi il tuo diretto supervisore/manager a dei colleghi o a degli amici?”, su una scala di valutazione da 1 a 10.

Il NMPS italiano risulta essere -19,6%: i collaboratori sono poco propensi a consigliare i propri capi per diversi motivi, che possono essere ricondotti al non riconoscergli un ruolo decisivo sul proprio percorso professionale e sul proprio livello di engagement.
Un dato che i ricercatori del CeRCA hanno legato in modo particolare alla maggiore importanza che nel contesto aziendale italiano, fatto soprattutto di piccole e medie imprese, si riconosce al rapporto con il titolare dell’azienda. Una figura che in tante realtà per i lavoratori conta più del manager loro diretto superiore.

Confrontando i risultati italiani con quelli emersi dalla ricerca inglese della London Business School, si possono notare delle differenze. Sia il campione italiano che il campione inglese ha evidenziato un livello d’engagement medio/alto (72,65 su 100 per l’Italia e 72,75 su 100 per l’Inghilterra). I fattori importanti per i dipendenti inglesi non hanno però a che fare con la sicurezza del lavoro o con un bilanciamento tra la vita lavorativa e quella privata, ma sono in ordine:

La possibilità di fare un lavoro stimolante a livello intellettuale
Lavorare con colleghi stimati
Avere la possibilità di un avanzamento professionale.

“Per quanto concerne la gestione dei collaboratori – spiega il professor Vittorio D’Amato, Direttore del CeRCA – dal momento che molto è stato scritto su come gestire al meglio le persone, crediamo che la vera domanda sia: “Come mai pur conoscendo cosa si dovrebbe fare per gestire al meglio i collaboratori, i capi non lo fanno?”.
Le organizzazioni future dovranno essere capaci di creare un sistema culturale e di valori basato sui principi, sul dialogo, sulla fiducia e sul continuo interscambio di informazioni: “In questo senso – continua D’Amato – proponiamo alcune idee che dovrebbero costituire le fondamenta per un nuovo “Manifesto del Management”, che dovrebbe tradursi in un significativo incremento del Net Management Promoter Score”.

Questi i punti chiave del “Manifesto”:

Servire uno scopo più alto
Più meritocrazia
Aumentare la fiducia
Valorizzare la diversità
De-strutturare l’organizzazione
Sviluppare misure di performance olistiche
Creare una democrazia di informazioni
Liberare l’energia e l’intelligenza aziendale

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Pubblicato il 26 Marzo 2012
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