“I trafficanti di uomini realizzano i sogni delle loro vittime”

Il criminologo Andrea di Nicola coautore con il giornalista Giampaolo Musumeci di "Confessioni di un trafficante di uomini" (Chiarelettere) è intervenuto alla presentazione del libro alla Biblioteca Civica

«A chi vuoi che interessi un libro sui trafficanti di uomini». Questa era la risposta che il criminologo Andrea di Nicola e il giornalista free lance Giampaolo Musumeci si sentivano dare quando proponevano la pubblicazione della loro inchiesta alle case editrici. L’editore “Chiarelettere”, invece, senza farsi pregare, ha pubblicato il libro con il titolo "Confessioni di un trafficante di uomini". Nel frattempo i diritti sono già stati acquistati da alcuni editori tedeschi e polacchi e incassato più di qualche attenzione da parte di francesi e inglesi. 


Di Nicola, si aspettava tutto questo interesse per il vostro libro?

«Su questo argomento non esiste molta bibliografia, ecco perché i giornalisti italiani e stranieri, soprattutto inglesi, si sono scatenati per avere informazioni ulteriori sull’inchiesta».

Forse c’è tutto questo interesse perché voi fornite uno schema interpretativo efficace di un fenomeno fino ad oggi indagato solo in superficie
.
«Musumeci sapeva che come criminologo da anni mi occupavo di questo problema e dopo una sua intervista mi ha proposto di scrivere a quattro mani il libro. La nostra inchiesta svela il meccanismo che sta a monte della filiera del traffico di uomini, non limitandosi al volto degli scafisti che sono l’ultima ruota del carro. Abbiamo intervistato trafficanti in carcere, passato al setaccio le carte dei processi, abbiamo incontrato magistrati che da anni combattono il fenomeno, viaggiato nei luoghi che rappresentano le porte d’ingresso dei migranti in Europa, dalla Turchia alla Libia, passando per Calais e intervistato le persone sul posto, soprattutto durante i periodi di tregua, quando il traffico doveva riorganizzarsi e quindi i trafficanti erano un po’ più rilassati».

Alcune figure, come quella del boss croato Josip Loncaric, ricordano personaggi da film, alla kaiser Soze, uomini di cui si sa poco o niente, imprendibili e invisibili ma sempre al centro dell’attenzione degli inquirenti.

«Di questi criminali si sa poco perché è la stessa struttura dell’organizzazione a rete che li rende invisibili. Lo scafista nella maggior parte dei casi non sa per chi lavora. Loncaric, come il turco Muammer Kucuc, sono talenti criminali che fanno dell’efficienza organizzativa il loro punto di forza. Kucuc, si inventò il traffico di uomini su yacht lussuosi in estate per evitare i controlli della guardia di finanza».

La domanda che si pone il cittadino italiano è sempre la stessa: ma come fanno a trovare così tanti soldi i migranti, fino a 30mila dollari, per pagarsi un viaggio?
«Innanzi tutto i soldi non vengono pagati tutti subito, ma a tranche. Una persona puo’ rimanere parcheggiata per molto tempo in un paese durante il trasferimento fino a quando i familiari non pagano per proseguire o lui stesso non riesce a procurarsi i soldi. Si vendono tutto, case, terre, bestiame, in alcuni casi ci sono intere comunità che si mobilitano per pagare e fare arrivare a destinazione il proprio parente o amico. C’è un sistema di pagamento, l’hawala, basato sulla fiducia e su dei “pizzini” che nella rete hanno la funzione di proprie e vere delle lettere di credito per riscuotere soldi negli angoli più sperduti della terra o compensare debiti e crediti di altri business criminali. Non lasciano traccia e possono essere riscossi a Instanbul come a Bengasi».

Nel libro non si parla dei collegamenti con la criminalità organizzata italiana. Esistono?
«I trafficanti di uomini fanno capo a organizzazioni fluide, reti etniche il cui obiettivo è portare in occidente i loro clienti. Hanno contatti sporadici con i criminali italiani e quasi sempre solo funzionali, perché il loro business è esclusivo. Ad esempio, per i documenti falsi si appoggiano ai falsari napoletani. Se devono alloggiare cento migranti appena sbarcati sulle coste del Salento devono poter contare su albergatori compiacenti. Ma non c’è un rapporto organico».

I trafficanti che avete intervistato dicono di sfruttare le falle delle leggi italiane ed europee. È possibile che le autorità non se ne accorgano?
«Le rispondo con un esempio. In Centro Italia vive un trafficante pachistano che ogni anno fa entrare nel nostro paese 600 suoi connazionali, spacciandoli per afghani e rifugiati politici. Non si sporca le mani e incassa tantissimi soldi sfruttando le leggi. Lo fa da molti anni, i suoi uomini arrivano in aereo e con le carte già pronte. L’elemento fiduciario, di appartenenza etnica e la percezione che il trafficante sia una persona in grado di realizzare i sogni da chi fugge dalla miseria o dalla guerra sono gli elementi su cui si basa questo traffico. La reputazione in questo mestiere è fondamentale, se ne faccio morire troppi il trafficante perde credibilità».

Come si risolve questo problema?
«Se devono arrivare 150 mila persone, arrivano indipendentemente che le coste libiche siano presidiate o meno perché i trafficanti trovano sempre una nuova via per far arrivare a destinazione i loro carichi. Una cosa si puo’ fare: se la registrazione dei migranti avvenisse negli snodi principali, come ad esempio la Turchia, si potrebbe obbligare ciascun paese membro dell’Unione Europea ad accogliere una quota di immigrati. In questo modo l’Italia non sarebbe più isolata nel cercare di dare risposte al fenomeno. Infine, non dimentichiamo che è solo la retorica di una certa politica che parla di invasione perché i dati confermano che l’Italia è solo un paese di transito, la maggior parte dei migranti sono diretti in Germania e nei paesi del nord».

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Pubblicato il 13 Febbraio 2015
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