Giovanni Impastato: “La lezione di Peppino è ancora attuale”

Giovanni Impastato in questi giorni è in provincia di Varese. Ha incontrato gli studenti dell'istituto comprensivo statale "G.B. Monteggia" e i soci del Rotary Club Laveno Luino Alto Verbano

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«Bisogna andare oltre i cento passi, perché la storia di Peppino è una lezione attuale sul senso della legalità». Quando Giovanni Impastato racconta la storia del fratello, assassinato dalla mafia il 9 maggio del 1978, tiene lo sguardo ben fermo sul presente. Il rischio di ridurre Peppino Impastato a una semplice icona del suo tempo, è troppo grande, soprattutto se il messaggio è rivolto ai giovani studenti che partecipano ai suoi incontri.

La lezione di Peppino Impastato può insegnare ancora molto. La sua ribellione è un esempio di grande coraggio perché rompe uno schema famigliare, andando contro gli affetti naturali in nome dell’affermazione della legalità e della dignità umana. Se si vuole comprendere la portata storica di questa vicenda, questo è un punto fondamentale. «Nei miei ricordi d’infanzia la mafia era sinonimo di benessere e protezione – racconta Giovanni  Impastato – Sono i ricordi più belli e spensierati della mia vita, immersi nell’ammaliante natura della campagna palermitana». Ricordi che lasceranno spazio all’amara consapevolezza nell’età della ragione.

La storia di Peppino Impastato, resa nota al grande pubblico dal film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana, è lo specchio di questa Italia che ancora oggi fatica a trovare una sua dimensione di legalità condivisa. «Non c’era bisogno di percorrere cento passi per incontrare la mafia a Cinisi – sottolinea Giovanni Impastato – era sufficiente attraversare la strada, anzi, nel nostro caso bastava rimanere in casa perché la nostra era una famiglia di mafiosi».

In quel paese, a pochi chilometri da Palermo, viveva il capo della cupola mafiosa, Cesare Manzella, zio dei fratelli Impastato, e nella sua tenuta era spesso ospite il potente boss Luciano Liggio, l’assassino del sindacalista Placido Rizzotto. E lì abitava anche Tano Badalamenti, il mandante dell’omicidio di Peppino, sbeffeggiato e ridicolizzato dall’ironia pungente del giornalista che aveva deciso di denunciare senza reticenze il sistema politico-mafioso che dominava il territorio.

In anni in cui i termini mafia e antimafia non rientravano ancora a pieno titolo nel vocabolario degli italiani, Peppino Impastato, con “L’Idea socialista” prima e “Radio Aut” dopo, aveva dato vita a una rivoluzione culturale nel cuore di una terra da sempre considerata un allevamento intensivo di mafiosi.

Lo Stato non c’era e, quando c’era, faceva finta di non vedere. È stato ormai appurato che nelle indagini relative all’omicidio del giornalista di Cinisi vennero compiute più azioni di depistaggio. Ci furono anche inquirenti che affermarono la legalità, come i giudici Costa, Signorino e Chinnici. Quest’ultimo riuscì a spiccare alcuni mandati di cattura, ma non riuscì a concludere l’istruttoria perché a sua volta venne assassinato dalla mafia.

Ventidue anni dopo la morte del figlio, Felicia Bartolotta, madre di Peppino Impastato, riceverà a casa la visita della Commissione parlamentare antimafia che le consegnerà “la verità” sulla morte del figlio. Fu la prima donna in Italia a costituirsi parte civile in un processo di mafia e quando si trovò di fronte Tano Badalamenti in videoconferenza, perché detenuto negli Usa, fissandolo dritto negli occhi e   scandendo bene le parole, disse: «Tu hai ucciso mio figlio».

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Giovanni Impastato in questi giorni è in provincia di Varese per incontrare alcune scuole del territorio grazie a una bella iniziativa voluta dall’Ufficio scolastico provinciale con il sostegno del Rotary Club Laveno Luino Alto Verbano. Prima di parlare con gli studenti, Giovanni Impastato ha incontrato i soci rotariani al ristorante “Il Sole di Ranco”. A fare gli onori di casa c’era il presidente del Rotary Club Giuseppe Taldone  e tra gli ospiti della serata erano presenti: Giuseppe Del Bene, assistente del governatore del Distretto Rotary 2042Angela Lischetti, responsabile Legalità dell’Ufficio scolastico provinciale, che ha parlato dei problemi del bullismo a scuola, Marco Zago, dirigente scolastico dell’istituto comprensivo statale “G.B. Monteggia” di Laveno Mombello e la vicepreside Tamara Coscia.

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 14 Marzo 2019
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