“Su quella nave ho capito che potevo morire”

Il racconto di Claudia Caimi, studentessa 16enne del Liceo Grassi, in vacanza con gli zii sulla Costa Concordia, la nave affondata a largo dell’Isola del Giglio

«Il momento peggiore è stato sentire le sette sirene dell’allarme della nave, quando la barca ha iniziato a piegarsi dall’altra parte». Claudia Caimi ha 16 anni ed era sulla nave della Costa Crociere, la Costa Concordia, che è naufragata a largo dell’isola del Giglio in Toscana dopo aver urtato uno scoglio. Claudia Caimi vive a Cogliate, un paese di fianco a Saronno, e frequenta la terza F del Liceo Grassi saronnese. (le foto di questo articolo sono state scattate da Claudia e suo cugino)
Era in vacanza con la zia, lo zio, la cugina 17enne e il cugino. Facevano parte di un gruppo di 11 persone, 9 di Cogliate, 2 di Misinto, che avevano affrontato la crociera diventata una tragedia. «È stata un’esperienza bruttissima che non auguro a nessuno. Non credo proprio che riuscirò a dimenticare, nemmeno i particolari, soprattutto le urla delle persone» racconta ancora concitata Claudia, che è tornata a casa a Cogliate nella notte tra sabato e domenica.

La ragazza parla veloce, ancora incredula per quanto accaduto, ma con la consapevolezza di essere una sopravvissuta. «Eravamo al ristorante, intorno alle 9 – ricorda -. Avevamo appena finito l’antipasto i camerieri si stavano preparando a servire i primi. Poi all’improvviso le bottiglie sul tavolo sono rotolate via, piatti e bicchieri sono caduti, i camerieri si sono rovesciati il risotto addosso. Alcune persone sono cadute, poi quel tremendo rumore, il botto».
Claudia non ferma il racconto nemmeno un momento: «La nave si è subito piegata, poi si è spenta la luce. Solo per qualche secondo, ma a noi è sembrata un’eternità. La gente ha cominciato a urlare. Io non capivo, non credevo stesse succedendo veramente».

Il ristorante si trova al terzo piano della nave, proprio quello delle scialuppe. «Questa è stata una fortuna. Ci hanno fatto uscire ed eravamo lì sul ponte, faceva un gran freddo e io ero in maniche corte, non siamo potuti passare dalle cabine, non c’era tempo. Ci hanno detto di stare calmi, che stavano cercando di risolvere il problema. La nave ha cominciato a raddrizzarsi. Un animatore ci ha spiegato che stavano imbarcando acqua dall’altra parte, per raddrizzarla. Ma poi la nave ha iniziato a piegarsi sull’altro lato, in maniera preoccupante, troppo. Poi abbiamo udito le sirene, per sette volte. Era il segnale dell’evacuazione della nave, un suono che non dimenticherò più».

Ma la disavventura non è finita. Il momento peggiore Claudia racconta di averlo vissuto sulla scialuppa. «Ci hanno fatto salire, una signora con in braccio un bambino mi ha prestato la sua giacca, ha visto che stavo congelando. Ho visto gente che si buttava in mare per salvarsi. Alcune scialuppe di salvataggio erano già partite. Dopo che siamo saliti sulla nostra, la barca si è bloccata, uno strattone improvviso. La nave si piegava e noi eravamo a penzoloni sul mare. Per la prima volta Claudia fa una pausa, poi riprende: «In quel momento ho pensato che avremmo potuto non farcela. Le persone continuavano a voler salire sulla scialuppa, anche sul tetto, aumentando il carico. Li potevo capire, forse l’avrei fatto anche io. Erano tutti nel panico. Volevo sentire i miei genitori salutarli». La scialuppa ha poi ripreso a scendere.
Claudia racconta anche di quello che ha visto dopo il salvataggio. «Gente congelata che veniva tirata fuori dall’acqua, alcuni stipati in una scuola. A noi hanno chiesto di scaldare i piedi a un cameriere della nave. Poi, prima di poter chiamare i miei genitori per dire che stavo bene, hanno cercato di calmarmi. Ero nel panico, ma quando ho sentito i miei sono riuscita a capire che mi ero salvata, che stavo bene». 


«Adesso mi fa male un po’ la schiena, forse per il botto di quando si è bloccata la scialuppa. Ho ancora il giubbino di quella donna che vorrei ringraziare. Aveva in braccio un bambino, ma ha pensato a me» conclude Claudia, che al termine del racconto sembra più tranquilla.
«Non so se lunedì andrò a scuola. Forse devo fare una lastra alla schiena. Poi andare dai carabinieri perchè non ho più documenti. Mi hanno suggerito di parlare, raccontare cosa è successo, non so se mi farà bene. Per ora sì. Ma non dimenticherò più quanto accaduto, la paura di non tornare più a casa».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 15 Gennaio 2012
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